In ‘Zona d’ombra‘ veste i panni del dottor Bennet Omalu, un neuropatologo che scopre il legame tra i traumi cranici e la comparsa dell’encefalopatia cronica, una malattia degenerativa cerebrale di cui soffrono molti atleti del football americano: “Come mia nonna, di religione battista, prego Dio affinché la verità ci renda liberi”.
Una storia toccante, significativa, che in qualche modo puo’ rappresentare un monito per sportivi e non.
Lo scorso due aprile, “Zona d’ombra” ha inaugurato il Bari International Film Festival. Il film che ha come protagonista Will Smith è uscito nelle sale il 21 aprile ed è tratto da “Game Brain”, un articolo pubblicato sette anni fa dalla giornalista Jeanne Marie Laskas sulla rivista GQ.
Articolo che, ben presto, diventerà un libro dal titolo “Concussion”. Libro che, ora, potremo rivivere in una versione cinematografica di tutto rispetto. La storia è quella di Bennet Omalu. Più che una storia è una vera e propria ‘Odissea’. Omalu è un neuropatologo forense proveniente dalla Nigeria, capace di scoprire la CTE: una nuova malattia degenerativa del gervello che colpisce ex giocatori di football americano.
Dal giorno della scoperta, l’odio e il razzismo dell’opinione pubblica colpirono e ferirono ‘gravemente’ questo medico. “Zona d’ombra”, come raccontano i produttori, non è soltanto un thriller medico. E’ una storia vera, densa di umanità, una sfida tra Davide e Golia. Bennet Omalu è un giovane emigrato, in primis. Emigrato nella difficile America, per fae il dottore e scappare dalla sua terra di origine: quella Nigeria che venne dilaniata da guerra civile e povertà.