Una commedia per adolescenti, sulla carta, dovrebbe interessare tutti. E magari fare ridere i più. Ma non è stato così per Piuma durante la sua proiezione alla settantatreesima edizione del Festival del Cinema di Venezia.
Dal canto suo, il giovane regista Roan Johnson prova a gettare acqua sul fuoco:
I fischi? Ci sono state anche tante risate e tanti applausi, va bene che le reazioni siano diverse. Siamo orgogliosi e felici di essere qui, contenti di essere in gara con una commedia, è giusto sdoganarla ai festival. La risata è ancora un tabù per il cinema d’autore, invece penso sia l’arma migliore che abbiamo.
Piuma, il film più leggero del concorso di Venezia 73 (un titolo, dunque, non casuale), secondo italiano in gara, ha suscitato ad oggi (e, di preciso, ieri) le reazioni più pesanti. I fischi, appunto, le contestazioni sulla sua presenza nella selezione ufficiale della rassegna diretta da Alberto Barbera (che lo presentò come «una sorpresa, abituati alle commediole e commediacce usa e getta del recente cinema italiano»).
Gli apprezzamenti sulla qualità delle opere in gara, a partire da La La Land, era stata unanime. Ma l’accoppiata tra la leggerezza, per alcuni insostenibile volendo parafrasare Milan Kundera, della commedia su Ferro e Cate, diciottenni alle prese con la nascita di una figlia, e La región salvaje di Amat Escalante, dove l’eros incrocia horror e fantascienza mediante i tentacoli di una creatura pronta a dare piacere indifferentemente a uomini e donne, fa discutere sulle scelte dei selezionatori. Dove voleva andare a parare il regista messicano (miglior regia a Cannes con Heli) con il mostro poli-fallico? «Il miei temi sono sempre gli stessi: ingiustizia, diseguaglianze, machismo, rifiuto della diversità», dice lui. «Poiché la realtà ha superato la fiction, avevo bisogno di cercare risposte altrove». Non tutti hanno gradito. E, soprattutto, capito.