Settimana giornata al Festival di Venezia 2012, ieri lo yakuza-movie Outrage Beyond, capitolo conclusivo dela trilogia sulla vendetta del cineasta ed attore giapponese Takeshi Kitano, non ha convinto la critica che invece ha apprezzato molto il dramma adolescenziale Après Mai (Something in the Air), ambientato negli anni ’70 e diretto dal regista francese Olivier Assayas, che sino ad ora è risultata la pellicola più appaludita della Mostra.
Oggi in concorso ci sono Pieta, nuovo film del regista coreano Kim Ki-duk e il dramma storico franco-portoghese Linhas de Wellington di Valeria Sarmiento.
PIETA con Cho Min-soo e Lee Jung-jin
Ingaggiato dagli usurai, un uomo ne riscuote i crediti, minacciando senza pietà i debitori. Senza famiglia, e quindi con nulla da perdere, l’uomo spietato vive senza tenere in nessuna considerazione il dolore che provoca a moltissime persone. Un giorno, gli si presenta una donna sostenendo di essere sua madre. Egli dapprima la respinge con freddezza, ma piano piano la accetta e decide di abbandonare quel lavoro crudele per condurre una vita normale. Ma la madre viene rapita all’improvviso. Pensando che sia stato qualcuno a cui aveva fatto del male, cerca di rintracciare tutti coloro che aveva tormentato. Quando trova il colpevole, scopre terribili segreti che sarebbe stato meglio fossero rimasti tali.
Il denaro mette inevitabilmente alla prova chi vive in una società capitalistica dove tutti sono convinti che esso possa risolvere ogni cosa. Il denaro è spesso causa di quanto accade ai giorni nostri. In questo film, due persone che provocano e subiscono dolore per via del denaro e che molto difficilmente si sarebbero potuti incontrare, si conoscono e diventano una famiglia. Grazie a questa famiglia, ci accorgiamo che siamo complici di tutto quello che accade. Il denaro farà domande tristi fino a quando tutti quelli che vivono in questa epoca moriranno. Finiremo per diventare denaro agli occhi degli altri, schiacciati sull’asfalto. Piango ancora rivolto al cielo con scarsa fede. Dio, abbi pietà di noi. (Kim Ki-duk)
LINHAS DE WELLINGTON con Nuno Lopes, Soraia Chaves, John Malkovich, Marisa Paredes, Melvil Poupaud, Mathieu Amalric
Dopo che i tentativi di Junot e Soult fallirono nel 1807 e nel 1809, Napoleone Bonaparte invia il maresciallo Massena al comando di un imponente esercito a invadere il Portogallo nel 1810. I francesi arrivarono agevolmente fino al centro del paese dove li aspettava l’esercito anglo-portoghese guidato dal generale Wellington…
Quando Paulo Branco mi chiese di portare a termine il film sulle guerre napoleoniche che Raoul Ruiz aveva ideato, mi sembrò un compito quasi impossibile. Leggendo, però, la sceneggiatura di Carlos Saboga, rimasi sorpresa: scoprii l’esodo dei portoghesi, il destino tipico della gente comune, la vita quotidiana durante un conflitto, dei punti di vista che hanno fatto sì che quel racconto diventasse mio. Il resto è consistito nel lavoro con gli attori, specialmente per i personaggi femminili che soffrono tanto nel corso di una guerra e, soprattutto, nel fare in modo che il paesaggio seguisse con la macchina da presa una paradossale tattica di guerra: il contraddittorio pellegrinaggio che fu la ritirata verso le “linee di Wellington”.
Tra gli eventi speciali fuori concorso vi segnaliamo la proiezione nella sezione Venezia classici del documentario biografico Harry Dean Stanton Partly Fiction di Sophie Huber.
HARRY DEAN STANTON: PARTLY FICTION
Harry Dean Stanton: Partly Fiction è un ritratto avvincente e impressionista dell’attore, icona di un’epoca, fatto di momenti intimi, di brani da alcuni dei 250 suoi film e delle sue strazianti esecuzioni di canzoni folk. Con l’eccezionale fotografia di Seamus McGarvey, a colori e in bianco e nero, il film esplora lo sguardo enigmatico dell’attore sulla sua vita, sul suo talento musicale non sfruttato, e comprende scene sincere e franche con David Lynch, Wim Wenders, Sam Shepard, Kris Kristofferson e Debbie Harry. Da questo intenso collage, emerge la fragile anima di un attore.
Conosco Harry Dean Stanton da vent’anni. Ne rimasi affascinata già dal primo incontro. C’è qualcosa di enigmatico in lui, elusivo e incredibilmente vulnerabile, ma anche semplicemente divertente. Oltre al talento di attore, Harry Dean è anche un cantante con la rara qualità di far percepire in ogni parola una profonda verità. Puntare l’attenzione sulla musica invece che sulla persona ha fatto sì che egli rimanesse coinvolto e fosse possibile catturarne quel lato che pochissimi conoscono. Volevamo ricreare un’atmosfera che appartiene a Harry, muovendoci insieme a lui, nella sua mente, al suo ritmo, invece che seguire un semplice ordine biografico.(Sophie Huber)
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