Sesta giornata per il Festival di Venezia 2012 che ieri ha visto la critica divisa per l’attesa proiezione di To the Wonder, il film di Terrence Malick in lizza per il Leone d’oro sembra secondo alcuni aver peccato di retorica, il che gli ha fatto guadagnare qualche fischio di dissenso, anche se alla fine gli applausi hanno prevalso.
E’ piaciuto molto invece il film fuori concorso Love is all you need, la prima incursione nella commedia della regista danese Premio Oscar Susanne Bier approdata al Lido con il protagonista del film Pierce Brosnan, il fascinoso ex-007 ha catalizzato l’attenzione di fan e fotografi.
Veniamo ora ai film in concorso quest’oggi che vedono in programma il crime nipponico Outrage Beyond di Takeshi Kitano e il drammatico francese Après Mai (Something in the Air) di Olivier Assayas.
OUTRAGE BEYOND con Takeshi Kitano,Tomokazu Miura, Ryo Kase, Fumiyo Kohinata, Toshiyuki Nishida
I Sanno sono diventati un’enorme organizzazione criminale espandendo la propria sfera di potere anche sulla politica e sul mondo legale degli affari. I livelli superiori della famiglia sono ora dominati da giovani capi, mentre i membri della vecchia guardia covano rancore per essere stati messi da parte. Questo tallone d’Achille nella gerarchia dei Sanno è proprio ciò che Kataoka, detective anti-gang, stava cercando, ora che la polizia si prepara a un giro di vite su larga scala. Con sporchi trucchi e intrighi segreti l’ambizioso Kataoka fomenta il conflitto tra i Sanno e gli Hanabishi, loro alleati di lunga data, nella speranza che finiscano con il distruggersi a vicenda. Ma la carta vincente di Kataoka è la concordata scarcerazione di Otomo, il boss di una famiglia fatta fuori dai Sanno e ritenuto morto. Il suo ritorno a sorpresa contribuisce a incrementare l’inganno e il tradimento fra i due clan, mentre ognuno è concentrato a spiare la prossima mossa degli altri. Impossibile indovinare chi uscirà vincitore da questo spietato gioco di potere. Non è finita fino alla fine.
APRE MAI (SOMETHING IN THE AIR) con Clément Métayer, Lola Créton, Félix Armand
Parigi, inizio anni Settanta. Gilles è un giovane liceale preso dall’effervescenza politica e creatrice del suo tempo. Come i suoi compagni, esita tra un impegno radicale e delle aspirazioni più personali. Passando da relazioni amorose a rivelazioni artistiche, in un viaggio che attraverserà l’Italia e finirà a Londra, Gilles e i suoi amici dovranno fare scelte decisive per trovare se stessi in un’epoca tumultuosa.
Credo poco all’autobiografia al cinema. Si scrive sempre con i ricordi, vicini, lontani, più o meno deformati, più o meno idealizzati. A maggior ragione quando si tratta dell’adolescenza, l’età in cui le immagini più forti si iscrivono quasi a nostra insaputa. Credo invece moltissimo alla gioventù, come fonte di ispirazione, come verità intima alla quale bisogna costantemente confrontarsi. Sono cresciuto durante gli anni Settanta, non li ho scelti ed è verso di loro che torno. Questo periodo violento, confuso, contraddittorio, sovrastato dall’ombra del maggio 1968, continua a essere oggetto di malintesi. Io l’ho vissuto, ne sono il peggiore testimone, il viso sull’asfalto, tributario di una prospettiva irrimediabilmente falsata. Ma forse non è il punto di vista più sbagliato per cogliere il caos di quegli anni…(Olivier Assayas)
Concludiamo come di consueto con l’evento speciale – fuori concorso di punta della giornata, oggi è il turno del dramedy corale indipendente Disconnect, diretto dall’americano Henry-Alex Rubin.
DISCONNECT con Alexander Skarsgård, Michael Nyqvist, Jason Bateman, Andrea Riseborough
Disconnect fonde molteplici storie che parlano di persone alla ricerca di legami umani nel mondo sempre connesso di oggi. Intense, strazianti e toccanti, le storie si intersecano con colpi di scena, che mettono a nudo una realtà scioccante nel nostro uso quotidiano della tecnologia che, facendo da mediatrice, definisce i nostri rapporti e, in fin dei conti, le nostre vite.
Mi sono convinto a realizzare questo film perché vi ho trovato una visione della fallibilità umana molto compassionevole. I personaggi ce la mettono tutta per allontanare da sé la solitudine e per coprire il dolore. Tutti ci siamo sentiti soli qualche volta, è un fatto universale. E se sempre più persone usano la tecnologia per sentirsi legati a qualcuno, a volte lo fanno a spese di chi è seduto loro accanto. Quante volte abbiamo visto gente a cena che parla al telefono e non con chi è allo stesso tavolo? Ho sempre fatto documentari che considero lettere d’amore ai miei soggetti. Disconnect è una lettera d’amore a chi si sente imperfetto e umano.(Henry-Alex Rubin)
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