Ieri durante la quinta giornata del Festival di Venezia, oltre al divo Al Pacino e al suo Wilde Salome fuori concorso ci ha pensato il regista inglese Steve McQueen a catalizzare l’attenzione con il suo Shame, presentato in concorso ed etichettato da subito film-scandalo della rassegna, contribuendo così a creare qualche fisiologica e prevedibile polemica, oltre a raccogliere comunque ampi consensi da parte della stampa che ha accolto calorosamente, con qualche voce fuori dal coro la seconda prova dietro la macchina da presa del regista dell’acclamato Hunger.
Protagonista del film l’impenitente e compulsivo erotomane newyorchese Brandon, interpretato dal fascinoso Michael Fassbender che è presente in concorso al Lido anche con A Dangerous Method di Cronenberg in cui interpreta lo psichiatra Carl Jung. Brandon vedrà il suo quotidiano, vissuto all’insegna dell’amplesso amoroso tout-court e soddisfatto a prescindere, invaso dalla difficoltosa convivenza con l’altrettanto problematica sorella Sally (Carey Mulligan).
A prescindere da ciò che si vede su schermo Fassbender, che torna a lavorare con McQueen dopo aver interpretato l’attivista dell’IRA Bobby Sands in Hunger, ci tiene a precisare che le scene a base di sesso e droga non sono proprio il suo forte:
Non mi sono sentito a mio agio. Per fortuna non ho dovuto provare molte volte. Riguardo all’uso della cocaina è una cosa con cui ho discusso molto con Steve, ma il film in fondo parla di eccessi, di dipendenze e il sesso e la droga sono due cose che si collegano l’un l’altra.
Per McQueen invece anche Shame, come il precedente Hunger è a suo modo un film politico:
In quel film parlavo di politica e di Irlanda. In questo c’é ancora la politica ovvero quello che accade oggi, il web e tutto il resto. Lì c’era un uomo prigioniero e qui invece un uomo troppo libero. E la troppa libertà di oggi è in fondo la nostra prigione.