Uscirà il 12 dicembre, in più di 500 copie, Ultimatum alla Terra, il remake del classico di Robert Wise del 1951 di cui già vi abbiamo proposto, nei giorni scorsi il trailer e la sinossi.
Ieri, a Roma, si è svolta la conferenza stampa del film in presenza del regista Scott Derrickson e del protagonista principale, Keanu Reeves, di cui oggi vi riportiamo integralmente la trascrizione.
Qual’è stato il suo rapporto con il film originale, anche da un punto di vista “estetico”?
Scott Derrickson: Il film originale è molto amato, perciò ho cercato di mantenere quegli elementi iconici, come l’astronave, la tuta spaziale, il robot Gort. All’epoca il design di questi elementi era davvero innovativo e ho cercato di lasciare inalterato quello spirito. Gli elementi alieni sono fortemente legati tra loro nella rappresentazione che danno di un mondo “altro”, io ho cercato di aggiungere l‘aspetto di una tecnologia che ispirasse sintonia con la natura.
Keanu Reeves: Ho visto molte volte il film, da bambino, e trovo che nella nostra versione sia profondamente cambiata la prospettiva del personaggio di Klaatu. Nell’originale inizialmente è affabile e gentile, mentre verso il finale si incupisce, diviene un personaggio sinistro, soprattutto per quell’ammonimento che fa alla razza umana. Nel nostro film avviene il contrario: Klaatu è inizialmente più ostile, ma nel corso della storia diviene un personaggio decisamente positivo.
Cosa è cambiato dal 1951 ad oggi? L’umanità è rimasta uguale ad allora?
SD: Il film originale nasceva in un’epoca in cui c’era terrore riguardo alle armi nucleare. Oggi le armi nucleari esistono ancora, ma non si è giunti alla catastrofe che si temeva, quelle armi non sono state impiegate. Ritengo che l’essere umano, in situazioni estreme e di grande sofferenza, sia portato a fare scelte decisive, che però sono saggie e giuste. Oggi l’attenzione del film si sposta sulla questione ecologica, tra 60 anni, forse, ci sarà un’altra versione del film su altri argomenti, e l’uomo per allora sarà riuscito a risolvere il quesito che abbiamo posto in questo film.
Si è mai sentito “alieno” nella carriera o nella vita?
KR: L’alieno fa parte di una storia, e le storie riescono a farci riflettere su noi stessi. Il momento in cui mi sono sentito più alieno, in effetti, è stato alla scuola superiore.
Crede negli alieni?
KR: Sì. Non possiamo esserci soltanto noi. Riguardo gli UFO non saprei, ho anche degli amici che ne parlavano… Sì, perché no?
C’è bisogno degli alieni per farci capire che l’inquinamento va fermato? E quali film di fantascienza sono tra i suoi preferiti?
KR: No, non c’è bisogno di alieni. Il pianeta ce lo fa capire da solo, con i suoi sconvolgimenti. Per quanto riguarda la seconda domanda direi i classici: Star Wars, Blade Runner, 2001: Odissea nello Spazio, Solaris.
C’è la possibilità di un altro Matrix?
KR: Onestamente non credo, il percorso di Neo mi sembra concluso.
A conoscerla meglio non sembra il tipo di persona che invece spesso interpreta nei suoi film: Neo, Klaatu… sono quasi figure messianiche, distanti. Come si trova in questi ruoli?
KR: È vero che è una sorta di gabbia, ma una gabbia meravigliosa. Sono splendidi ruoli, non c’è molto da aggiungere.
Il bambino appare come una figura combattuta, violenta, difficile. Qual’è il suo significato all’interno del film?
SD: Il bambino rappresenta una famiglia spezzata, come ne esistono tante in America e nel mondo. È carico di rabbia, è confuso, e questa confusione viene risolta soltanto nel finale, grazie anche alla figura della madre. Uno dei migliori aspetti dell’umanità è proprio questo: il saper crescere nelle difficoltà, ed è questo momento che permette a Klaatu di comprendere la vera natura dell’uomo. Per il resto non credo sia il simbolo di nient’altro in particolare.
Nel film originale è Gort, l’androide, a controllare Klaatu. Nel vostro remake come stanno le cose?
KR: Sono io il capo. Però la sentinella robot è dotata di una propria volontà, è indipendente. Rispetto al film originale viene esteso quel concetto “attacca quando è attaccato”.
Un suo collega, Peter Jackson, ha realizzato il remake di King Kong lasciandolo in un contesto anni ’30. Lei invece ha preferito portare Ultimatum Alla Terra al presente. Come mai questa scelta?
SD: Quando si decide di realizzare il remake di un classico ci vuole un’ottima ragione. Per me la prima è stata che oggi non sono in molti ad aver visto il film originale. La seconda invece sta proprio nell’elmento del contesto. Già nella sceneggiatura che mi era stata sottoposta era presente questa contestualizzazione al presente, con la questione ecologica al centro del film, ed è stata una delle principali ragioni che mi hanno portato a dirigerlo.
Qual’è stato il suo contributo alla sceneggiatura?
KR: Ho avuto l’opportunità di contribuire alla stesura, grazie al regista e alla produzione, ma più che altro direi che la mia collaborazione consisteva nel consigliare cosa funzionava e cosa no da un punto di vista recitativo.
SD: In realtà prima ti sei concentrato sulla storia generale, e solo successivamente sul tuo personaggio, cosa che ho decisamente apprezzato e che ci è stata di grande aiuto.
Perchè la gestione della crisi è stata affidata al Segretario di Stato e non al Presidente? Dipende anche dal fatto che ancora non era possibile sapere chi sarebbe stato eletto?
KR: Il Presidente nel film è un’idea, più che un personaggio, un’idea statica. Il personaggio del Segretario di Stato invece cambia nel corso della storia. Almeno penso sia così.
SD: Mentre realizzavamo il film questa era una cosa a cui pensavo spesso. Come molti Americani pensavo che qualcosa dovesse cambiare, e che alle elezioni sarebbe seguito un periodo di ottimismo e di slancio in positivo. Avere un Presidente nel film sarebbe stato controproducente, meglio avere un Segretario di Stato con una mentalità più militare.