The Iron Lady: recensione in anteprima

The Iron Lady è un film che ripercorre la vita e le gesta di Margaret Thatcher, la prima donna a diventare primo ministro in Gran Bretagna, un’icona della nostra epoca.

In questo film sono almeno tre i temi narrativi che ruotano intorno al personaggio interpretato da Meryl Streep: il legame affettivo ancora vivo con il defunto marito Denis; la lotta di classe che Margaret ha combattuto fin da quando era ragazza per emancipare la figura della donna nella politica al potere nel mondo occidentale; il connubio tra l’essere donna, madre e leader di un paese come la Gran Bretagna degli anni dell’IRA.

Analizziamo la vicenda cinematografica.

La storia si apre su una giornata ordinaria della Lady di Ferro, ormai ritiratasi dalla scena politica da diverso tempo; in realtà, la giornata si rivela non rientrare nella solita routine, poiché nel corso delle ore successive Lady Thatcher inizierà a ricordare tutta la sua carriera politica alternata alla vita privata.

Il peso delle decisioni non intaccato l’ex Primo Ministro Thatcher, che ha affrontato il terrorismo dell’IRA, sommosse pubbliche, una guerra contro l’Argentina per la riconquista delle isole Falkland, lo scherno della politica avversaria e la mancanza di fiducia da parte della politica alleata.

L’ingresso del film su una Thatcher anziana, vedova e affranta solo dal timore di diventare pazza a causa delle allucinazioni e dei ricordi che le tornano alla mente imperanti, permette allo spettatore di accomodarsi nella dinamica narrativa e potersi allineare alla lunghezza d’onda che sarà caratterizzata da una costante danza tra flashback di diversa connotazione temporale; solo successivamente sarà rivelato il vero grande timore della donna: la solitudine scaturita dalla morte del marito, la presenza fittizia di una figlia (Carol) e l’assenza di un figlio non curante dello stato di salute e dei sentimenti di una madre (Mark); in altre parole, tutte le paure stereotipate che sopraggiungono alle persone quando pensano alla vecchiaia.

A partire dai primi discorsi politici uditi dal padre in giovane età, Alfred Roberts – un droghiere che si diede alla politica nel secondo dopoguerra diventando sindaco di Grantham-, la giovane Margaret ebbe la possibilità di crescere in un ambiente prolifico di idee, le stesse idee che l’accompagneranno per l’intera vita -a volte aiutandola, altre volte annientando la sua umanità-, ma comunque nella garanzia costante di presenza assoluta e prioritaria per bene del suo Paese, anche dinanzi alla sua famiglia o a valori quali il rispetto per la vita (la scena in cui piange per i caduti in guerra è commovente).

Le tre tematiche portate avanti dalla regista Phyllida Lloyd s’intrecciano in modo ben ritmato e molto equilibrato, non facile da seguire per tutti, con una piccola grande scoperta nella stupefacente interpretazione di Alexandra Roach nei panni della giovane Thatcher, mentre la grandezza di Meryl Streep in questo personaggio è soprattutto nell’interpretazione della voce (sarebbe molto meglio scegliere una proiezione in lingua originale con sottotitoli e non perdere la Streep in uno slang anglosassone credibilissimo con una peculiarità di dettagli vocali magnifica): se c’è una donna nella storia recente della politica da elevare a icona, altrettanto si può fare per la Streep per il cinema, un’icona di talento e unicità del nostro tempo.

Il messaggio della pellicola è sublime: Margaret Thatcher, la Donna di Ferro, si è usurata col passare del tempo proprio come il metallo che la rappresenta nel soprannome, lasciandosi cogliere dai limiti di un fisico in via di arrugginimento e di una mente che può anche vacillare nei ricordi, ma mai erodere le idee che portano alle azioni, che portano alle abitudini, che portano alla personalità, che portano al proprio destino. Sono le idee, che ci accompagnano verso il nostro destino [cit.].

Note di Produzione: La regista Phyllida Lloyd e Meril Streep hanno già collaborato nella commedia di successo Mamma Mia!; la Streep è alla 17° nomination per gli Oscar; e ha già vinto un Golden Globe come miglior attrice; la sceneggiatura è firmata da Abi Morgan, co-sceneggiatore di una recente uscita cinematografica come Shame.