Latif Yahia (Dominic Cooper) è un iracheno che si trova costretto, dopo aver subito torture e aver visto la propria famiglia minacciata, a vestire i panni di un Fedai (un sosia sacrificabile) per Uday Hussein (Dominic Cooper) figlio borderline e cocainomane del dittatore iracheno Saddam Hussein (Philip Quast) ed ex-compagno di scuola di Latif. Uday è un sadico psicotico che uccide e stupra sfruttando la sua intoccabilità, tra le sue vittime preferite giovani ragazze adolescenti che adesca per le strade di Baghdad e che quasi sempre dopo una notte brava a base di alcol, droghe e violenza finiscono cadaveri in mezzo al deserto. Inizia così per Latif, che per meglio somigliare a Uday subisce anche alcuni interventi chirurgici, un vero e proprio incubo in cui sarà testimone di ogni azione abietta perpetrata da Uday sino a che saturo non deciderà di ribellarsi e fuggire, una fuga che però si rivelerà molto breve…
Settimo film per il neozelandese Lee Tamahori, che dalla sua trasferta negli States non ha più toccato le vette emotive del suo memorabile esordio in patria Once Were Warriors. Senza dubbio il suo Bond (007-La morte puo attendere) era più che dignitoso e sia in Scomodi omicidi che ne L’urlo dell’odio ha saputo confezionare film accattivanti, ma è indubbio che il Tamahori americano fatica non poco ad emergere e mostrare un po’ di personalità
Forse dopo tante pellicole all’insegna del pre-confezionato made in Hollywood con The Devil’s Double ritroviamo un po’ del Tamahori degli esordi, senza dubbio più libero nell’allestire quello che si rivela a tutti gli effetti un crime, tantissimi gli omaggi più o meno espliciti allo Scarface di De Palma e Pacino e dalla sua ha anche la fortuna di ritrovarsi per le mani un sorprendente Dominic Cooper, forse particolarmente ispirato dalla difficoltà di un duplice ruolo, in cui le soddisfazioni controbilanciano la riuscita di una performance borderline e sempre sul filo dell’involontaria parodia.
Cooper si destreggia davvero bene dimostrandosi un attore di razza, anche se non sorprende troppo il suo eclettismo, figlio senza dubbio di una lunga gavetta che oltre a tv e cinema l’ha visto cimentarsi con il teatro, infatti il suo villain Uday è teatrale nel senso più positivo del termine.
The Devil’s Double è un film solido che dopo un incipit formale tipico di tanti biopic cede il passo al cinema di genere in cui non mancano efferatezze e violenza sopra le righe, fascinose femme fatale, droga ed alcol, tutti elementi tipici del filone gangster-movie, ma Tamahori ha l’intelligenza di mantenere la lucidità necessaria e dovuta ad una storia basata su personaggi reali, di certo la veridicità è spesso e volentieri sacrificata sull’altare della drammatizzazione, ma visto che si tratta di un film e non di un documentario le licenze, quando giustificate sono sempre benvenute.
Note di produzione: il film che ha fruito di un budget di 19 milioni di dollari è stato co-prodotto da Belgio e Olanda e basato sul libro autobiografico The Devil’s Double scritto da Latif Yahia.