In un futuro alternativo e non troppo lontano, siamo nel 2039, dopo una guerra che ha devastato l’intero pianeta otto corporazioni si sono suddivise il globo e una di queste, la Tekken guidata dal magnate Heihachi Mishima (Cary-Hiroyuki Tagawa) e da suo figlio Kazuya (Ian Anthony Dale), controlla il nord-America e periodicamente organizza un torneo di lotta conosciuto come Iron Fist.
Questo vero e proprio avvenimento sportivo che catalizza l’attenzione della popolazione che vive in condizioni di estremo disagio, nel suo regolamento comprende la possibilità di accettare nella selezione di combattenti un rappresentante eletto dal popolo che potrà così partecipare all’ambito torneo.
Il campione ufficiale Marshall Law (Cung Lee) viene però battuto a sorpresa dal giovene contrabbandiere Jin Kazama (Jon Foo) a cui la Tekken ha ucciso la madre e che vede l’Iron Fist come unica possibilità di arrivare al vero responsabile dell’omicidio, il boss Mishima.
Il regista Dwight H. Little, nel curriculum gli action Drago d’acciaio con Brandon Lee e Programmato per uccidere con Steven Seagal oltre ad episodi per i serial X-Files, 24 e Prison Break si cimenta con l’adattamento di uno dei picchiaduro per consolle più amati di sempre, paragonabile per successo a franchise storici del calibro di Mortal Kombat e Street Fighter.
Purtroppo come già accaduto con Dragonball Evolution, altro esempio di ibrido creativo nippo-americano, anche in questo caso si è provato ad allargare il target di fuibilità della pellicola e si è finito per confezionare un action-movie dal ritmo quasi televisivo e che non rende giustizia al franchise cui si ispira.
Intendiamoci il film è esteticamente gradevole e invece di darsi agli eccessi visivi di operazioni analoghe vedi DOA-Dead or Alive e Mortal Kombat, si è preferito dare alla messinscena e al comparto coreografie una certa sobrietà puntata al realismo prendendo spunto per le dinamiche globali dallo Street Fighter con Van Damme e per l’ambientazione dal serial Dark Angel con Jessica Alba.
Un’operazione girata con il rigore di un direct-to-video, tutto è gradevole, ma decisamente scialbo, i combattimenti divertenti, ma ben lungi dalla spettacolarità che ci si aspetterebbe, il fattore Mortal Kombat che ha reso il film di Paul W.S. Anderson tanto kitsch quanto intrigante ad oggi non si è piu ripetuto in alcun cinegame che avesse come soggetto un picchiaduro e anche in questo caso latita.
Tekken resta un prodotto che senza dubbio farebbe la sua figura sullo scaffale di una videoteca, che forse vale il costo di un noleggio, ma ben lungi dall’essere memorabile e dal possedere l’appeal necessario per transitare su grande schermo.
Note di produzione: nel cast figurano Tamlyn Tomita, la giapponesina che in Karate Kid 2 conquistava il cuore di Ralph Macchio e Cary-Hiroyuki Tagawa che in Mortal Kombat vestiva i panni dello stregone Shang Tsung. Tra le curiosità pare che Katsuhiro Harada supervisore artistico della serie videoludica, che ricordiamo sviluppata dalla nipponica Namco, sia rimasto decisamente contrariato dal restyling made in Hollywood subito dalla sua creatura.