Shelter-Identità paranormali, recensione

Cara Harding (Julianne Moore) è una psichiatra forense che sta attraversando una profonda crisi personale, ha recentemente perso il marito ucciso da un balordo durante un tentativo di rapina ed è rimasta sola ad accudire la figlioletta Sammy (Brooklynn Proulx), a supportarla in questo momento di difficoltà il fratello Stephen (Nate Corddry) e il padre anch’egli eminente psicologo.

Sarà proprio il professor Harding ha proporre alla figlia ormai disillusa un caso che desterà la sua curiosità e che potrebbe essere la prova definitiva della sua teoria secondo la quale il disturbo della personalità multipla non è una reale patologia, ma solo un mero escamotage di molti criminali e dei loro collegi di difesa per invocare e rafforzare fasulle tesi di infermità mentale onde evitare la pena capitale.

Il caso in questione non ha un solo nome, ma addirittura tre, David, Adam e Wesley (Jonathan Rhys Meyers), tre personalità distinte che si alternano in un unico corpo, ma quello che lascia Cara interdetta sono alcune impressionanti reazioni psicosomatiche del ragazzo durante il passaggio da una personalità all’altra, il fatto che le personalità siano tutte vittime di efferati omicidi e cosa ancor più inquietante e che più il caso si fa complesso e il mistero s’infittisce, più su famiglia ed amicizie della donna sembra incombere minacciosa una palpabile presenza sovrannaturale.

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Poltergeist, la trilogia

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1982, il regista Tobe Hooper autore del disturbante cult Non aprite qualle porta, sotto l’egida produttiva di Steven Spielberg, sforna Poltergeist-Demoniache presenze uno dei più intensi horror mainstrem degli anni ’80, che figlierà due sequel e una nomea da trilogia maledetta.

Nel primo capitolo della trilogia l’ingerenza dello Spielberg produttore si percepisce in tutta la pellicola, come è altrettanto palese l’impossibilità di Hooper di utilizzare al meglio la sua peculiare impronta visiva estrema e disturbante in un prodotto addomesticato e indirizzato al grande pubblico, anche se in alcune sequenze come quella del caotico finale, l’anarcoide personalità di Hooper riesce in parte a manifestarsi.

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H.R. Giger: tra arte, incubi ed horror

Descrivere i lavori di Giger è cosa alquanto ardua, la loro forza e visionarietà sono esperienze da provare, i suoi incubi biomeccanoidi, come li definisce lui stesso, che sembrano aver ispirato l’immaginario di registi come David Croneneberg, lasciano perplessi perchè inquietanti e pregnanti con i loro espliciti riferimenti sessuali e una commistione di fascino-repulsione che innescano negli animi più sensibili.

Il cinema si è nutrito, secondo noi mai abbastanza, delle opere di questo artista che ha dato forma all’incubo dell’alieno parassita della saga di Alien e alla letale aliena SIL in Species-specie mortale alla perenne ricerca di corpi umani con cui accoppiarsi e procreare una nuova stirpe di ibridi umano/alieni per ripopolare la Terra.

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