Cyrus, recensione in anteprima

John (John C. Reilly) è un quarantacinquenne divorziato ormai da sette anni, che ancora non è riuscito a rcostruirsi una vita a causa di una palese difficoltà a reinserirsi in un contesto emotivo che gli permetta di superare la separazione dalla moglie.

L’occasione giungerà piuttosto inaspettata durante una festa in cui John, da poco appreso che l’ex-moglie sta per risposarsi, trova l’input giusto per conoscere Molly (Marisa Tomei), che oltre a trovare un inaspettato feeling con l’uomo, rivelerà un figlio ormai adulto a cui è molto legata, l’infantile Cyrus (Jonah Hill) che dal canto suo non ha alcuna intenzione di abbandonare il nido.

John dovrà riuscire ad inserirsi in un equilibrato e sin troppo solido contesto costruito a mo’ di microcosmo edipico, in cui la sua presenza verrà vissuta inevitabilmente come disturbante corpo estraneo, ma l’uomo non vuole che la storia con Molly naufraghi e si confronterà con Cyrus intenzionato a far sì che la sua inattesa storia d’amore abbia un futuro.

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Il solista, recensione in anteprima

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Il giornalista del Los Angeles Times Steve Lopez (Robert Downeyy Jr.) durante una passeggiata ascolta un uomo suonare un violino con solo due corde, l’uomo è Nathaniel Ayers (Jamie Foxx) un senzatetto che soffre di schizofrenia e attacchi di paranoia, ma non sembra violento, parlando con lui scopre che ha frequentato la prestigiosa scuola d’arte Juilliard di New York e che all’epoca suonava il violoncello.

Il fiuto di Lopez non sbaglia, quella che poteva essere una fandonia costruita dalla mente disturbata di Ayers si rivela invece un fatto reale, l’uomo all’epoca della Juillard era un talento in crescendo, sino a che l’inesorabile evolversi della sua malattia e l’acutizzarsi dei sintomi lo costringeranno prima a lasciare la scuola e poi a fuggire di casa.

Lopez comincia a dedicare la sua colonna sul quotidiano alla storia di Ayers, i lettori sembrano apprezzare il racconto di questo genio perduto che vive in strada, a tal punto che un’anziana violoncellista afflitta da artrite e commossa dalla storia non decide di regalare il suo violoncello all’uomo, sarà Lopez a consegnarglielo e di li in poi inizierà per i due un’amicizia che attraverserà alti e bassi, ma che che alla fine gioverà ad entrambi.

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Nel paese delle creature selvagge, recensione

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Max è un bambino di nove anni con una fervida immaginazione e con qualche problema in casa, microconflitti che per un bambino assumono l’aspetto di tragedie con un genitore single, in questo caso la madre in cerca di una nuova vita, e la sorella maggiore, troppo impegnata per occuparsi di un fratello in cerca di attenzioni.

Cosi l’irrequieto Max sfoga il suo bisogno di amore attraverso una scatenata fantasia che cresce di pari passo con un atteggiamento ribelle e scostante, sino a che, dopo l’ennesima lite con la madre, Max non fugge di casa per raggiungere un mondo incantato dove non solo riceverà le dovute attenzioni, ma sarà addirittura eletto re.

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Festival di Venezia dalla cinquantunesima alla sessantesima edizione: da Abel Ferrara a Robert Rodriguez

A un certo punto mi sono reso conto di quello che significa “progresso”. Non sono ancora del tutto convinto che si tratti di un sinonimo di evoluzione. Tuttavia in un certo senso è come cadere dal letto mentre si sta giocando col proprio padre, o fratello, e, invece di fracassarsi completamente la testa, rompersi “semplicemente” un braccio.

Spesso, quando mi aggiro per le vie di Venezia, alla ricerca di tracce del festival, mi rendo conto che la gente ha l’ombrello aperto, ma non riesco a capire se lo fa perchè piove o per ripararsi dal solo. Sono così tante le cose che confondo, con questa confusione di auto e di novità. Anche i colori sono cambiati, non c’è più la discriminabilià di un tempo, dentro e fuori le persone.

E’ come se per qualche motivo le cose si siano complicate in modo esponenziale, abbastanza all’improvviso. Il mio unico timore è quello di non poter assistere, col fiato sospeso e i violini che stridono sadici nelle mie orecchie, a scene di vendetta, in terza persona, quasi bidimensionali, in cui il sangue del riscatto schizza orizzontalmente sulla neve, colorandola in modo caotico.

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