Malik (Tahar Rahim) è un ragazzo praticamente analfabeta con un percorso criminale da manuale, uan serie di riformatori, la maggiore età e il grande salto, un carcere con la C maiuscola, più simile ad una giungla che ad un’istituzione dagli intenti riabilitativi.
L’incipit è da incubo, la violenza e la sopraffazione, le regole non scritte, ma applicate senza alcuna pietà, sono servite quoridianamente a chi non riesce a capire dove si trova e chi comanda, chi non conosce la spietata legge del cane mangia cane, ma Malik sembra avere la scorza abbastanza dura e l’intelligenza necessaria per capire che solo unendosi al branco giusto, solo guadagnandosi i favori di chi ha la sua vita in mano, che siano guardie o detenuti farà la differenza tra la vita e la morte.
Sei interminabili anni tra lui e la fine del tunnel, un tunnel che sarà irto di ostacoli, decisioni da prendere, scelte che ne faranno vittima o carnefice, e Malik capirà ben presto che solo mostrandosi remissivo prima, spietato e determinato poi, conquistandosi un rispetto fatto di piccoli gesti quotidiani di chi ha capito sino in fondo quelle regole non scritte, solo cosi riuscirà a sopravvivere all’inferno della detenzione, ma così la fine del tunnel potrebbe trasformarsi inevitabilmente in un’ulteriore evoluzione del suo essere criminale, adatta sicuramente ad affrontare la strada e il mondo esterno, ma non l’inferno che si porta dentro.
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