A un certo punto mi sono reso conto di quello che significa “progresso”. Non sono ancora del tutto convinto che si tratti di un sinonimo di evoluzione. Tuttavia in un certo senso è come cadere dal letto mentre si sta giocando col proprio padre, o fratello, e, invece di fracassarsi completamente la testa, rompersi “semplicemente” un braccio.
Spesso, quando mi aggiro per le vie di Venezia, alla ricerca di tracce del festival, mi rendo conto che la gente ha l’ombrello aperto, ma non riesco a capire se lo fa perchè piove o per ripararsi dal solo. Sono così tante le cose che confondo, con questa confusione di auto e di novità. Anche i colori sono cambiati, non c’è più la discriminabilià di un tempo, dentro e fuori le persone.
E’ come se per qualche motivo le cose si siano complicate in modo esponenziale, abbastanza all’improvviso. Il mio unico timore è quello di non poter assistere, col fiato sospeso e i violini che stridono sadici nelle mie orecchie, a scene di vendetta, in terza persona, quasi bidimensionali, in cui il sangue del riscatto schizza orizzontalmente sulla neve, colorandola in modo caotico.
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