Il regista di Torno Subito, Simone Damiani, mi ha concesso un’ora della sua vita per rispondere a domande a tutto campo sul cinema italiano. La seconda parte potrete leggerla domani.
Oggi in un post di Cineblog, commentando l’articolo di Antonio Dipollina che parlava dei 200000 italiani che ogni sera acquistano un film vietato ai minori sui canali hot del bouquet di Sky hai detto:”Se continuerà a crescere con questi ritmi, Sky rischia di diventare in poco tempo la più grande industria culturale italiana. Auspico che i vertici dell’azienda decidano di programmare investimenti significativi nel settore cinematografico italiano. Se ciò non dovesse accadere, inviterò tutti gli autori italiani a smettere di passare nottate insonni su soggetti che non diventeranno mai film, e cimentarsi invece sulla scrittura di sceneggiature per i film hard italiani, che mi sembrano decisamente carenti dal punto di vista della varietà delle storie e dei dialoghi“.
Reputi che la maggior parte dei film italiani che arrivano in sala abbiano dialoghi e storie valide e originali?
Purtroppo no… ti spiego qual’è il problema… Molto spesso oggi gli sceneggiatori sono costretti a lavorare con tempi e budjet sempre più ristretti… e questo alla fine va a scapito della qualità…
mi spiego… se un produttore mi chiede di scrivere – per rimanere in tema – un film che ha come protagonista una attrice hard, io dovrei avere la possibilità – ed essere pagato per farlo – di passare ore ed ore sui set di film hard per carpire dalla realtà i termini che vengono utilizzati, i modi di dire, etcetera… se il produttore non ha abbastanza soldi da investire, sarò costretto a rinchiudermi nella mia stanza, davanti ad un foglio bianco, cercando di “immaginare” un dialogo tra attori di film porno. Magari in questo modo il film è pronto dopo 15 giorni. Ma il risultato rischia di essere superficiale e stereotipato.
Ciò che dici può avere un senso per i nuovi registi alle prese con delle produzioni, ma spesso i neofiti realizzano il proprio film in modo indipendente e nessuno li obbliga a trattare argomenti che non conoscono, eppure il grande pubblico accusa spesso i giovani cineasti italiani di essere troppo mentali …
Personalmente, ho imparato che il lavoro di scrittura riesce meglio se fatto in gruppo o se si sottopone spesso il testo alla lettura di soggetti “esterni”… solo così si può capire se si procede sulla giusta strada. Un mio insegnante di sceneggiatura mi insegnò un semplice trucco per giudicare la validità delle mie storie:”Provate a raccontarle ad un vostro amico. Se cambia spesso posizione, allora è ok. Se durante il racconto giace sulla sua sedia in stato catatonico, allora c’è qualcosa che non funziona”. Provate questo trucchetto. Funziona! Molti autori, specie quelli alle prime armi, sono terribilmente “gelosi” delle proprie storie, e non lasciano che nessuno modifichi una virgola di quello che hanno scritto. Purtroppo, non tutti nasciamo umili. Anzi, lo diventiamo solo dopo aver fatto la nostra brava serie di errori.
Il mio insegnante di sceneggiatura diceva:”Se non hai i soldi devi avere una bella idea. Se ti mancano entrambe lascia perdere”. Sulla base di questa affermazione: quanti sono i giovani registi che lo sono veramente e quanti pensano di esserlo?
Credo che il concetto di “Giovane regista” sia da separare dall’età anagrafica. Recentemente mi è capitato di incontrare un collega che ha lavorato nell’ultimo film di Mario Monicelli, “Le Rose Del Deserto”. Non che avessi dubbi sulla vèrve del Maestro, ma questo collega mi ha raccontato come Monicelli fosse sempre carico ed attento. Nel bel mezzo del deserto saltellava come un grillo e non mancava mai di prendere in giro i membri della troupe “arrostiti” dal sole africano. Il problema relativo allo scarso coraggio di alcuni miei colleghi giovani è questo: in Italia non esiste una industria legata al Cinema. Se escludiamo alcune eccezioni, fare film è diventato per molti un hobby, ed il lavoro “vero” è offerto solo dalla televisione. Vista la scarsità di produttori disposti ad investire, se si sbaglia un film, e questo può accadere per mille motivi, si rischia di non rimettere piede su un set per i prossimi 10 anni. Così spesso la paura prende il sopravvento e si finisce per percorrere strade già battute… che assicurino il risultato… Uno stile Trapattoniano… si segna una rete, e poi ci si chiude a catenaccio. Io, personalmente, preferivo Zeman.
Rifacendomi alla tua ultima risposta: oggi in molti posseggono una videocamera e in molti si dilettano a fare filmini. Ebbene: quando una persona può essere definita un regista? A cosa è legato questo titolo? Chi si può definire regista?
E’ da quando esiste il cinema che ci si pone questa domanda. Non esiste una risposta universale, ma solo delle opinioni. Personalmente collego la parola “regia” con l’abilità di mettere in scena quello che si ha nella propria testa. Tanto più quello che finisce dentro la telecamerina è simile alla nostra fantasia, maggiore sarà allora il nostro talento registico. Il regista, però, in senso cinematografico, è molto simile al generale di un esercito. Deve avere delle idee estremamente chiare su quello che vuole ottenere e non deve aver paura di dare degli ordini. Bisogna però che la “truppa” si senta un unico corpo, e che riconosca l’autorità del generale. Altrimenti si perde la guerra. Fare un film è una battaglia quotidiana, contro il tempo che scorre inesorabile, contro il Sole che va e viene, contro i soldi che vanno e basta. Un buon regista è un condottiero pronto a dare la vita – metaforicamente – per la sua troupe e per il suo progetto. Non dimentichiamoci che, se un film va bene, i meriti sono di tutti. Se un film va male, la colpa viene data sempre e solo al regista.
A domani con la seconda parte!