La Mostra del Cinema di Venezia numero 70 torna a sorridere all’Italia. Il Leone d’Oro è andato ad un docu-film nostrano, il primo ad essere in gara in quella che è la Mostra cinematografica più antica. Il primo a vincere, dunque.
“Sacro GRA, da noi recensito” è stato insignito con il massimo riconoscimento della kermesse dal maestro Bernardo Bertolucci. Adesso, arriva un’altra difficilissima sfida: dal 19 settembre il docur approderà nelle sale cinematografiche italiane, sulle ali dell’entusiasmo per il premio vinto, con una settimana d’anticipo rispetto ai tempi previsti. D’altronde, c’è da sfruttare il momento positivo.
Quello che gli italiani appassionati di cinema si stanno chiedendo in questi giorni è: “Ma davvero è così bello?”, “Meritava la vittoria?”. La verità è che “Sacro GRA”, ricco di echi pasoliniani e foriero di verità, rappresenta una novità. E’ in grado di sorprendere, non solo a Venezia dove in un modo o nell’altro quest’anno il cinema del nostro Paese doveva in ogni caso andare a Premi.
“Sacro GRA” scuote gli animi, perché racconta storie di personaggi borderline. Più che un docu è un’esperienza, condivisa con il pubblico affinché il pubblico potesse condividerla a sua volta.
Prima di tutto, “Sacro GRA” è la storia di Gianfranco Rosi e del progetto di questo coraggioso regista.
Progetto che Rosi racconta così:
Per me il GRA era semplicemente la strada che mi portava dall’aeroporto a casa. A farmi cambiare idea è stato Nicolò Bassetti, paesaggista-urbanista: è stato lui il primo a guardare il GRA con occhi diversi.
Le ricerche
Stimolato dalla lettura del libro di Renato Nicolini, ‘Una macchina celibe’, Rosi ha iniziato a osservare con un’altra lente di ingrandimento il Grande Raccordo Anulare. Ha studiato il suo fascino, lo ha percorso a piedi facendo 300 kilometri in venti giorni. Poi si è convinto. Fatte le dovute ricerche, spulciando libri e prendendo appunti, Rosi ha sentito l’esigenza di raccontarlo a suo modo.
Il ‘Progetto’
Eccolo, dunque, il ‘progetto Sacro GRA‘. Non si esaurisce solo ad un film. Diventerà un sito, un libro e una mostra. Diventerà dunque multimediale.
“Sacro GRA” è il risultato di sei mesi di sopralluoghi. Rosi li ha fatti mentre teneva in mano la sua copia di “Città invisibili” di Italo Calvino, altro autore che lo ha ispirato, ma non ha filmato nulla.
Ha iniziato successivamente, nel momento in cui ha individuato i personaggi del suo ‘cast spontaneo’. Li ha scelti sul posto, perché è gente del posto, ed è stato con loro per due anni.
Gli ‘attori‘, se così si possono chiamare’, sono gli abitanti del Grande Raccordo Anulare, distesi lungo 70 chilometri e trentuno uscite. Tra di loro ci sono un botanico, un principe, un nobile con figlia, un barelliere e un anguillaro. Sembrano quasi i titoli dell’album “Non al denaro, non all’amore né al cielo” di Fabrizio De Andrè, quello che prende spunto dalla mitica antologia di Spoon River.
Le loro storie sono diventate pellicola, dopo otto mesi al montaggio una volta fatta la cernita delle 200 ore di girato. Il risultato? 93 minuti di docu-film, che arriveranno in sala a partire dal 19 settembre prossimo.
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