Gli ultimi atti di vita di un alcolizzato, altalenanti tra omicidi immaginari che si intrecciano con la vicenda reale, fino a confondersi con essa e la lenta presa di coscienza della sua morte definitiva.
Cortometraggio complesso, stratificato, ma proprio per questo, particolarmente interessante. Ci si aspetta di essere proiettati da un momento all’altro nei luoghi oscuri, intrisi di sangue e morte che affollano la mente instabile del sinistro personaggio.
Alberto Carbone, autore del corto “surreale-horror” Lymphatica, ci introduce in una dimensione onirica da incubo, sempre in bilico fra realtà ed illusione, materializzando le paure e le visioni angosciose di un uomo folle.
Un protagonista solo, ignaro di essere osservato mentre si lascia andare alle sue fantasie più eccessive e proibite, mentre accarezza sognante il fido strumento di morte per gli altri, ma di gran piacere per lui.
Apparentemente ermetiche le morti e le successive rinascite dell’oscuro e inquietante personaggio, che però, legate all’atmosfera onirica dell’intero corto, non risultano fuori luogo e, anche se non completamente comprensibili, si adattano allo svolgimento della trama. Inquietante il momento in cui il silenzioso protagonista osserva se stesso cadavere.
Nasce per un attimo il dubbio che la vera ragione sia da trovare nella mancanza di altri attori, ma poi, messa da parte la naturale diffidenza, si apprezza l’idea, anche se se ci si accorge che probabilmente non ha un significato ben preciso o per lo meno facilmente intuibile.
Ben interpretate le fughe nel bosco, professionale la camminata, ben calibrata la velocità dei movimenti e ottimamente studiate le pause che aumentano le aspettative condendole di una buona dose di sana suspense.