Durante gli ultimi quindici anni il cinema del reale si è rivelato un fiume in piena di novità, creatività, versatilità. Si sono abbattuti i recinti tra fiction e non, i documentari sono entrati in concorso ai festival di tutto il mondo e li hanno vinti.
L’Italia si è presa un un ruolo da protagonista grazie a Leone e Orso d’oro (il primo nel 2015 con Sacro GRA e il secondo con Fuocoammare) conquistati da Gianfranco Rosi in due anni, rendendo evidente il fatto che il documentario è una importante fucina capace di regalare nuova linfa al nostro cinema.
Daniele Vicari ad esempio ha affidato a Facebook una riflessione sul «progressivo e ineluttabile cambiamento della nostra cinematografia». Per il regista del bel doc La nave dolce e di un film forte come Diaz «questa vittoria ci dice che oltre alle storie di papi, re e regine, gangster e uomini di potere, bisogna tornare a occuparsi di ciò che succede intorno a noi. Con amore, rabbia, acutezza di stile». Per Vicari, Rosi «con il suo “gesto” cinematografico ha rotto un’incrostazione culturale e produttiva insopportabile, basata sul pregiudizio politico che l’immigrazione non ha appeal. Il lavoro del cinema documentario ha cambiato e sta cambiando dall’interno la natura del nostro cinema».
Fuocoammare e Sacro GRA sono solo la punta di un iceberg: in Italia si producono centinaia di documentari l’anno. Il Sindacato giornalisti cinematografici ha moltiplicato i Nastri d’argento. Tra i premiati, Costanza Quatriglio per 87 ore (sulle ultime ore di vita del maestro Franco Mastrogiovanni, morto nel reparto psichiatrico di Vallo della Lucania dopo un tso), è il terzo riconoscimento dopo i Nastri a Triangle e Terramatta.