Maternity Blues è l’opera seconda di Fabrizio Cattani, nelle sale dal 27 Aprile, stavolta intento a raccontare la storia di quattro donne macchiatesi del reato d’infanticidio: Clara (Andrea Osvart), Eloisa (Monica Birladeanu), Rina (Chiara Martegiani) e Vincenza (Marina Pennafina) sono alcune delle diverse madri, condannate per aver assassinato i propri figli, che sono rinchiuse in un ospedale psichiatrico giudiziario.
La convivenza forzata conduce le donne a confrontarsi e raccontare le loro esperienze di morte, da cui alcune cercano di apprendere e somatizzare l’atto scellerato mentre altre sono intrappolate nella spirale di sensi di colpa e rimpianti, mostrando diverse potenziali prospettive riabilitative.
La struttura narrativa, fin troppo imparziale, non è sorretta dalla messa in scena che mostra allo spettatore uno stile cinematografico non definito: non è cinema sociale, né psicodramma d’introspezione o cinema d’autore, né tanto meno un documentario; infatti, tra tabù e cliché, non si riesce a sezionare e sviscerare la crudezza di un’azione tanto efferata come quella di sacrificare il proprio figlio per un raptus (nemmeno il titolo riconduce alla patologia, maternity blues è infatti il termine usato per indicare una depressione post partum).
Per quanto riguarda l’interpretazione, una nota positiva va attribuita al cameo di Lia Tanzi, all’interpretazione di Chiara Martegiani, soprattutto nella scena che culmina in un attacco di epilessia, e alla presenza scenica di Marina Pennafina -che si avverte nelle inquadrature e dona quel senso di protezione rubata dalla follia-.
Le attrici interpretano madri assassine senza un legame materno con i loro bambini, che appaiono fredde e in qualche modo distanti, in cui c’è uno squarcio incolmabile di sofferenza e mancanza per quel sentimento che tutti indicano come naturale istinto materno.
È pur vero che, in natura, esiste anche l’istinto di sopravvivenza dell’individuo e della specie, compreso l’istinto omicida.
In un racconto filmico dove alcune scene assumono ridondanza o peggio ancora gigioneria per l’evidente richiamo a eventi realmente accaduti (nonostante l’intenzione fosse di dar voce alle colpevoli divenute vittime degli attacchi mediatici), ci sono due scene colpiscono visivamente: la prima, quando Eloisa subisce un’aggressione da parte di due donne recluse nell’istituto con cui non scorre buon sangue; la seconda, quando Vincenza viene colta dal raptus che genera l’infanticidio.
La vicenda è, forse, pressappoco corale e il marito di Clara, Luigi (interpretato da Daniele Pecci), elabora un doppio lutto (i figli ammazzati dal personaggio della Osvart sono due) cercando di comprendere la natura dei suoi sentimenti, ancora vivi per la moglie nonostante il delitto, per provare ad andare avanti e a perdonare la donna; ma è la donna che non si perdona di non essere stata sufficientemente madre, è Clara che prova a uccidersi e portare con sé i suoi due bambini, è lei che vuole liberare se stessa e il marito dal legame sentimentale che li vincola al ricordo, li determina, li giudica.
Note di Produzione: Maternity Blues è stato prodotto attraverso il sistema The Coproducers, dove cast tecnico e artistico sono co-produttori dell’opera, con un costo totale di produzione pari a circa 400.000 Euro.