Riuscite a immaginare che Jeeg Robot abiti a Tor Bella Monaca? Con il nuovo film di Gabriele Mainetti, primo lungometraggio per il regista, ciò diventa realtà.
“Lo chiamavano Jeeg Robot” è un film italiano – strano – che arriva mentre il creatore del supereroe (Hiroshi) festeggia 40 anni di carriera.
Per l’ambientazione del suo primo film, Mainetti sceglie una zona poco rinomata e molto citata come rappresentazione del degrado: Tor Bella Monaca. Il protagonista è Enzo Ceccotti, criminale di basso livello durante un inseguimento finisce a contatto con una sostanza radioattiva. A quel punto scopre di avere una forza sovrumana, un vero super potere. Cerca quindi di metterlo a frutto per il suo ladrocinio quotidiano, finendo per dover badare alla bella vicina, che non ci sta con la testa dopo la morte della madre, e vede tutto il giorno i dvd di Jeeg Robot d’acciaio.
Non sarebbe però un vero film di supereroi all’italiana (anche a scriverlo ci suona incredibile) senza un nemico da battere. L’antagonista è il bravo Luca Marinelli.
“Lo chiamavano Jeeg Robot” si presenta come un film interessante. Mainetti ha voluto mantenere libertà nel realizzare il film, da lui anche prodotto. In questo modo, rispetto ad altri recenti esperimenti come Il ragazzo invisibile, non ci troviamo di fronte a uno spettacolo edulcorato o a un supereroe per famiglie. Niente anestesia, qui, le ferite si vedono e non si curano, rimangono purulente a caricare Lo chiamavano Jeeg Robot di un valore rigenerativo che vale per i protagonisti, ma un po’ anche per un’industria cinematografica poco abituata a rischiare, a proporre prodotti italiani più articolati rispetto alla solita stanca dicotomia cinema d’autore/commedia commerciale.
E poi, Mainetti si è nutrito di fumetti, anime e cinema di genere, come molti di quelli che leggono queste righe e che andranno a vedere il film. Se ne ha conferma nel citazionismo con divertimento del film, che non diventa mai sterilmente nerd. Della tendenza al recupero di tutto quanto è pop, già masticato e diventato immaginario, il regista recupera alcune canzoni anni ’80 melodiche italiane, utilizzandole per dei momenti di respiro comico.