L’allenatore nel pallone 2, recensione

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I fasti e la salvezza strappata in extremis della mitica Longobarda, fanno ormai parte del glorioso passato dell’ex-allenatore, ora imprenditore Oronzo Canà (Lino Banfi), che abbandonata la panchina gestisce un’azienda agricola che produce olio d’oliva, accanto a lui l’inseparabile moglie Mara (Giuliana Calandra), e la figlia Michelina (Stefania Spugnini), a cui si sono aggiunti il fedigrafo genero Fedele (Biagio Izzo)  e il nipote Oronzino.

Una sera però l’ex-mister viene invitato ad una trasmissione sportiva per festeggiare il ritorno della Longobarda in serie A e in vena di nostalgiche reminscenze sportive Canà confessa che in quella ultima e decisiva partita, che salvò la Lomgobarda da una ormai certa retrocessione, c’erano state delle pressioni dell’allora presidente della società per questioni economiche.

La bomba mediatica esplode e lo scandalo fa il giro di tv, web e giornali, così Willy Borlotti (Andrea Pucci)  figlio del vecchio presidente, si ritrova coinvolto in una ridda di voci e scoop scandalistici che fanno crollare le quotazioni della neo-promossa società irritando non poco l’ambiguo imprenditore russo Ivan Ramenko (Emilio de Marchi), fresco associato della Longobarda ormai nella bufera.

Cosi Canà, che nel frattempo è tornato alla sua azienda agricola e al suo tran tran quotidiano, si vede prelevato da alcuni loschi figuri al soldo di Ramenko, e ormai pronto al peggio si ritroverà invece davanti ad una proposta davvero inaspettata, tornare ad allenare la sua Longobarda.

Anche in Italia ormai impazza la mania del remake, e mentre negli States si toccano cult rileggendoli e rivisitandoli all’insegna del reboot selvaggio, applicato spesso senza alcun rispetto per gli originali, da noi si rilegge la formula americana, con tutta una serie di operazioni all’insegna della nostalgia e del botteghino, riesumando classici e personaggi in auge negli anni ’80, vedi Banfi, Montesano, Abatantuono, Calà e aggiornando alcuni film che hanno fatto la storia del cinema di genere italiano.

Cosi dopo i discreti Febbre da cavallo 2-La mandrakata, Eccezzziunale…veramente capitolo secondo e Torno a vivere da solo, è il turno de L’allenatore nel pallone, uno dei tre memorabili scult anni ’80, insieme a Vieni avanti cretino e Al bar dello sport, che hanno visto Lino Banfi mattatore assoluto.

Purtroppo anche se la ricetta è la medesima degli altri tre remake/sequel poc’anzi citati, L’allenatore nel pallone 2 risulta non solo il più debole, ma quello che mostra palesente tutta la debolezza di un’operazione concepita solo per attirare al cinema qualche sprovveduto nostalgico, e il canonico esercito di fan dei cinepanettoni.

Mentre Abatantuono, Proietti e Calà hanno reso un omaggio abbastanza genuino ai loro personaggi, Banfi fa stancamente il verso a se stesso trasformandosi in una sorta di Boldi versione pugliese, con battute e ammiccanti tic ormai triti, con il ritorno ad un personaggio inesorabilmente appannato, che nonostante il volenteroso tentativo di aggiornare tempi e scandali, risulta sin troppo pretestuoso, e invece che regalare nostalgici sorrisi, fa solo rimpiangere i bei tempi andati.