Guido Orefice (Roberto Benigni) è un ragazzo ebreo che lavora come cameriere ad Arezzo grazie all’opportunità offertagli dallo zio proprietario di un Grand Hotel, l’arrivo di Guido in città insieme all’amico Ferruccio (Sergio Bustric) coinciderà con un incontro quasi magico con la bella maestra Dora (Nicoletta Braschi) che Guido innamoratosi follemente designerà come sua Principessa.
Purtroppo siamo negli anni precedenti all’applicazione delle leggi razziali da parte del governo italiano e Guido finisce per scontrarsi proprio con un dei fautori locali del movimento fascista, un certo Rodolfo (Amerigo Fontani) arrogante fidanzato ufficiale della sua Principessa, ma ben presto proprio durante la festa di fidanzamento di Dora e Rodolfo, Guido termina il suo serrato corteggiamento con una fuga d’amore che di li a qualche anno lo vedrà felicemente sposato con Dora e padre del piccolo Giosuè (Giorgio Cantarini).
Le incombenti leggi razziali però faranno presto le loro prime vittime con l’alleanza dell’Italia con il dittatore nazista Adolf Hitler e i rastrellamenti sul territorio italiano della popolazione ebrea con conseguente deportazione in campi di prigionia. Sarà proprio l’arresto di Guido e la sua deportazione a costringere Dora, seppur non ebrea a scegliere di seguire il marito da cui però verrà separata una volta giunti a destinazione.
Inizierà così per Guido l’inizio di un incubo che però lo porterà a trasformare tutti gli accadimenti in una sorta di gioco al fine di non mostrare al piccolo Giosuè gli orrori e la follia del nazi-fascismo, così la vita nel campo diventerà un’avventura quotidiana fatta di compiti da svolgere e gare a cui partecipare per riuscire accumulando punti a vincere un grandioso e purtroppo inesistente premio finale.
Struggente e toccante questa parabola padre-figlio diretta e interpretata da Roberto Benigni e che nel ’97 gli valse, tra decine di riconoscimenti raccolti in tutto il mondo, ben tre premi Oscar al miglior film straniero, al miglior attore protagonista e alla splendida colonna sonora di Nicola Piovani.
Se si affrontasse il film come un dramma a sfondo bellico si incontrerebbero non poche difficoltà nel metabolizzare una visione edulcorata, furba e volutamente fiabesca del dramma dell’Olocausto, ma non è in questo modo che il film andrebbe letto vista la peculiarità artistica del protagonista, in questo caso anche regista e co-autore insieme a Vincenzo Cerami della sceneggiatura.
Il narrare fanciullesco tra poesia e dissertazioni sull’amore dell’attore toscano non lasciano spazio a critica alcuna, se non da parte di chi non conosce o fa finta di non conoscere lo stile di Benigni, che in questo caso sfoggia una struggente maschera di giocosità infantile che arriva dritto al cuore dello spettatore.
Gli americani che conoscono a fondo l’empatia del narrare cinematografico hanno subito compreso, premiandola la forza di questo film, l’impatto emotivo e il voler raccontare un cinema che non c’è piu fatto più di suggestioni ed emozioni che di paternalistici intellettualismi, Benigni parla allo spettatore ricordandogli l’orrore e la follia con una levità impressionante, il che non equivale per forza di cose a mancanza di spessore, ma tutt’altro esprimendo di contro una voglia di partecipazione emotiva che molti dovrebbero prendere ad esempio.
Note di produzione: oltre ai tre Oscar citati il film di Benigni tra i numerosi altri premi ricevuti vince anche 5 Nastri d’Argento, un César come miglior film straniero, 8 David di Donatello e un Gran Prix speciale della giuria al Festival di Cannes. La vita è bella incassa wordwide oltre 228 milioni di dollari e diventa il terzo maggior incasso italiano di sempre.