Viene annoverata tra i più interessanti giovani talenti del cinema europeo. Stiamo parlando della 35enne Mia Hansen-Løve che parteciperà per la prima volta, e in concorso, al Festival di Berlino. Lo farà con un film che, evidentemente, vorrebbe le togliesse di dosso l’etichetta di regista di storie “giovani”, ma forse non quella di moglie di Olivier Assayas.
Dopo storie che si basavano sull’energia e l’irrequietudine dell’amore e delle passioni dell’adolescenza, con “L’avenir” la regista affronta invece i sentimenti di una donna matura, condizionata dalla vita a fare i conti con un domani che non era forse quello che si aspettava.
La protagonista (una Isabelle Huppert che finalmente mette nel cassetto i manierismi) è un’appassionata professoressa di filosofia, che dapprima sembra costretta a una tensione verso il passato – dalle manifestazioni studentesche che si rifanno a quelle della sua giovinezza, dal riapparire di un suo pupillo, un ex studente dalle tendenze radicali e dalla madre depressa – ma che viene bruscamente costretta a fare i conti col futuro quando, nel giro di poco tempo, suo marito la lascia per un’altra donna, la madre muore e la casa editrice con cui collabora le dà cortesemente il benservito ritenendola, in sostanza, un arnese anacronistico.
Quello scritto dalla Hansen-Løve è un personaggio che, improvvisamente, vive nell’incapacità di agire e reagire, che accetta quasi passivamente quello che le accade intorno, in sottostante contrasto con quello che cerca di insegnare: la ricerca della verità e della libertà che unisca la teoria alla pratica quotidiana. Una verità e una libertà che non saprà usare, comodamente costretta dentro la sua maturità borghese.
Il ritratto al femminile c’è, e funziona. La capacità di girare, tenere il ritmo e bilanciare i toni del racconto che la regista aveva mostrato fino a questo momento, anche. Si percepisce, però, anche quanto L’avenir sia un film che vuole dimostrare qualcosa, che s’irrigidisce nel tentativo di mostrare maturità e si appiattisce sullo stile di Assayas, che è schiacciato su quella snobberia intellettuale e borghese francese fatta di libri ostentati, citazioni ossessive, musica classica e velleità rivoluzionarie.