C’è forse bisogno di un mediatore per parlare con un’altra persona? Forse ce n’è, quando la lingua che i due interlocutori parlano non è la stessa. Ma in caso contrario? Non voglio star qui a parlare delle difficoltà che le persone hanno oggi nel comunicare, tutto diverrebbe immediatamente prolisso e fuorviante.
Mi sembra di sentire i colpi che questi due riescono a darsi. L’arte di Tai Lung, e il destino di Po, incontratisi a un incrocio, ma provenienti dagli antipodi del mondo. La buona riuscita di un incontro sta soprattutto nel primo impatto.
Il problema è che quello tra loro è stato un pò troppo forte; Tai Lung, l’istinto intrappolato, censurato, tenuto legato per vent’anni, incatenato e inginocchiato, ad ammettere la sua colpa; il risultato di una punizione non è sempre (quasi mai) quello sperato. La rabbia monta, e se prima non voleva sentire ragioni, adesso è resa cieca dagli anni di reclusione nel buio. E aspetta solo di esplodere, in tutta la sua tremenda eleganza e potenza.
Dall’altra parte, c’è chi è stato punito in altro modo; il desiderio a cui pigramente si aspira, il voler “già essere”, o anche “già essere stato”; esiste una discrepanza traditrice tra il modo in cui viviamo le leggende e il modo in cui ci comportiamo quando improvvisamente ci rendiamo conto di essere obbligati a farne parte.
Po cammina, sicuro, su un filo di ingenua tranquillità apparente, che maschera forse una ferma consapevolezza semi-conscia. Sembra semplicemente predestinato, sembra che i suoi movimenti siano incorniciati da un armonioso determinismo.
Il suo temere lo rende più forte, e la sua debolezza è la pietra alla quale si appoggia quando si rialza ogni volta che cade. Perchè lui cade sempre, e poi si rialza, e rialza la testa, e si scoraggia solo per un pò. Perchè da un certo punto della sua vita in poi, non ha avuto più il tempo di scoraggiarsi a lungo.
Il desiderio, la brama di Tai Lung, è l’opposto dell’involontario ricevere di Po; quest’ultimo tende una mano per afferrare un biscotto, e su questa cade una meravigliosa pergamena antica di mille anni; Tai Lung corre, insegue, come Achille con la tartaruga, e la meta sembra allontanarsi sempre di più.
La forma dei loro occhi ci racconta aspetti diversi della personalità, ci racconta due storie diverse, come due colori che, lentamente ma inesorabilmente, si miscelano nell’acqua. Entrambi hanno cominciato a scalare la montagna, ma da due pendici diverse.
E il punto in cui sono arrivati, è il punto dell’insegnamento non insegnabile. Dopo un pò, i maestri finiscono la scorta di materie da insegnare; si arriva a un punto in cui bisogna rispondere a un koan formulato da se stessi, e Po e Tai Lung sono essi stessi una risposta allo stesso koan.
E’ bellissimo vedere che entarmbi hanno abbandonato, chi per un motivo, chi per un altro, l’insegnamento dogmatico, giungendo a lasciar andare il dogma come se fosse una zattera nel fiume, che è appena servita per attraversarlo.
Po impara ad accettare se stesso, un guerriero del dragone socialmente inaccettabile, secondo l’accezione classica; grasso, pigro, ingenuo, confusionario, incapace di rimanere in silenzio per più di un minuto; Tai Lung non accetterà mai la sua inaccettabilità, e in quest’espressione ricorsiva e solo apparentemente priva di implicazioni concrete, giace il suo destino.
Tanto si torna sempre lì; i contrari generano la vita, e la vita racconta la storia di vita; il permanente non può esistere senza l’impermanente, e i contrari sono il motore che dà vita a tutto questo.
Le due facce della medaglia non sempre forse sono destinate a non vedersi. E in più, sicuramente, sono attaccate l’una all’altra.