L’ammiraglio generale Hafez Aladeen (Sacha Baron Cohen) è un infantile, borioso e libidinoso despota antisemita in perenne conflitto con l’occidente, che oltre a porre un vero e proprio embargo sul petrolio estratto nel suo paese, la fittizia repubblica nordafricana di Wadiya, sta anche lavorando alacremente allo sviluppo di armi di distruzione di massa. Dopo che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite decide di intervenire militarmente, Aladeen intraprende un viaggio diplomatico alla sede dell’ONU di New York onde rivolgersi al Consiglio e farlo desistere dai suoi intenti bellicosi. Giunto negli States Aladeen però viene rapito da Clayton (John C. Reilly), un sicario ingaggiato dal suo perfido zio Tamir (Ben Kingsley). Tamir sostituisce quindi Aladeen con un sosia di nome Efawadh, un fantoccio che può manipolare a suo piacimento e a cui far firmare un documento di democratizzazione e apertura di Wadiya che include l’annullamento dell’embargo sui giacimenti di petrolio del paese. Nel frattempo Aladeen riesce a sfuggire ai suoi carcerieri e privo della sua folta barba, che gli è stata rasata rendendolo praticamente irriconoscibile, vaga senza meta per la città dove incontra la graziosa attivista Zoey (Anna Faris), che decide di aiutarlo offrendogli un lavoro.
Dopo l’esilarante Borat e l’oltraggioso e sottovalutato Bruno, torna la comicità caustica e demenziale di Sacha Baron Cohen, l’unico in grado di poter ironizzare sul terrorismo, la guerra in Iraq, le dittature e il fondamentalismo islamico e soprattutto di poterlo fare dopo l’11 settembre che resta una ferita aperta e spesso un tabù anche per i film drammatici, figuriamoci una commedia con protagonista un dittatore, caratterizzato pescando da diverse figure totalitariste tra le quali Saddam Hussein e Muammar Gheddafi.
Abbandonato il formato mockumentary tout-court, centrale sia in Borat che Bruno, Baron Cohen torna a collaborare con il regista Larry Charles (Religiolus – Vedere per credere) creando un’altra maschera spassosa e delirante, inanellando una serie di gag davvero riuscite che strappano la risata e colpiscono basso, al ventre molle della democrazia americana che Cohen mette alla berlina mostrando un colosso dagli intenti moralizzatori e dai piedi d’argilla.
Sacha Baron Cohen è un artista del cazzeggio, ma di quelli di alto profilo, provoca e arriva ad essere oltraggioso, greve e a volte verbalmente violento pur di provocare una qualsiasi reazione, in questo il suo Bruno è un esempio eclatante, capace di colpire chirurgicamente sobillando omofobia latente la dove nessuno pensava si potesse celare.
Con Il dittatore Cohen fa quello che fece a suo tempo Chaplin con Hitler o più recentemente il nostro Corrado Guzzanti con i suoi Fascisti su marte, punta sul lato ludico di tematiche scottanti, disturbanti e scomode, un nevrotico Pierino che gioca a provocare e lo fa con arguzia e se spesso e volentieri supera il confine del buongusto pazienza, chi lo apprezza ne è pienamente consapevole e chi no è meglio che eviti di salire sul ring con lui, perchè il suo è un gioco al massacro, fatto di colpi sotto la cintura e sempre e comunque all’insegna del politicamente scorretto, costi quel che costi.
Nelle sale a partire dal 15 giugno 2012
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Note di produzione: la Paramount ha dichiarato che il film è ispirato al romanzo Zabibah and the King del dittatore iracheno Saddam Hussein, anche se in seguito il New York Times ha segnalato che ciò non corrisponde a verità. Baron Cohen, che nel film interpreta anche il sosia Efawadh, ha rivelato che ha plasmato la sua performance principalmente sul dittatore libico Muammar Gheddafi. La colonna sonora è stata affidata a Erran Baron Cohen, fratello di Sacha. Nel cast figurano anche Megan Fox e Edward Norton. Il film è stato ufficialmente bandito in Tagikistan, ridotto a 71 minuti dalla censura in Uzbekistan e bandito dai cinema del Kazakistan a sole due settimane dalla sua uscita.