Venerdì uscirà in Italia, Il bambino con il pigiama a righe, il film Miramax, tratto dal premiato romanzo di John Boyne, che vuole offrire una prospettiva unica sugli effetti del pregiudizio, dell’odio e della violenza sulle persone innocenti durante il tempo di guerra.
Oggi, dopo il salto, vogliamo offrirvi le dichiarazioni del regista Mark Herman e una clip in anteprima, della storia di un amicizia tra Bruno figlio di un comandante nazista e Shmuel, un ragazzo ebreo imprigionato in un campo di concentramento, raccontata attraverso gli occhi del fantasioso ragazzo tedesco di otto anni, che viene tenuto all’oscuro della realtà bellica.
Quando ho letto il libro, mi sono subito immaginato un film, ma sapevo anche che sarebbe stato molto difficile realizzarlo, a causa della natura estremamente delicata del soggetto. Uno dei personaggi di Graham Greene sostiene che l’odio è il fallimento dell’immaginazione. Io ci credo fermamente, così come ritengo che l’enormità dell’Olocausto, le dimensione di questa barbarie, il numero dei morti e dei rifugiati, oltre che, a livello esponenziale, delle vite distrutte, lo renda impossibile da concepire, perché le cifre ti lasciano esterrefatto. Se si tenta di presentare ad un bambino questo periodo non troppo distante nel tempo, queste cifre lo spaventano. Penso che John Boyne abbia trovato un modo decisamente emozionante ed efficace di approcciare questo tema, concentrando la sua storia su due ragazzi e una famiglia.
Noi eravamo molto attenti al realismo. Quando abbiamo svolto delle ricerche sull’adattamento, ho appreso che i comandanti del campo erano vincolati al segreto, con la minaccia di una morte sicura in caso di tradimento, in modo da mantenere la massima riservatezza sulle loro attività. Era proibito dire a chiunque altro, comprese le loro famiglie, in cosa consisteva esattamente il lavoro. Questo mi ha aiutato molto quando stavo scrivendo la sceneggiatura, soprattutto per spiegare le ragioni che portano il comandante a non rivelare alla moglie il programma di sterminio, tanto che lei ritiene che sia un campo di lavoro, per poi scoprire la verità soltanto accidentalmente. Il pubblico contemporaneo ha il beneficio di una prospettiva storica completa e ritiene ovvie certe cose. Lo spettatore odierno penserà che la moglie deve per forza sapere, considerando che vive accanto a un campo di concentramento. Ma alcune di loro non conoscevano la realtà. La moglie del comandante di Auschwitz, per esempio, ha vissuto praticamente in cima al campo senza sapere cosa avveniva per due anni. Il fascino della storia è che questi due ragazzi, da parti opposte del recinto, non sanno veramente cosa sta succedendo.