Giallo, recensione in anteprima

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Il vero giallo dell’ultima fatica di Dario Argento e che fine abbia fatto la pellicola, finita di girare a giugno del 2008 e transitata per alcuni festival, tra cui la prestigiosa vetrina di Cannes, ma di una eventuale distribuzione italiana non se ne è saputo più nulla, lo stesso Argento in una recente intervista al Korea Film Fest di Firenze ha dichiarato di essere all’oscuro del destino della pellicola, affermando che i produttori americani ne hanno il pieno controllo, e intanto il giallo si infittisce.

E mentre i fan di Argento attendono con ansia l’ultima opera del loro regista prediletto, se non in sala almeno in un versione direct-to-video, sul mercato europeo spunta qualche copia import per chi mastica un pò di inglese, ed è stanco di aspettare.

Così eccoci pronti a recensire l’ultima fatica di Argento dedicandogli uno speciale della rubrica The Horror Zone, opera che arriva dopo gli eccessi trash de La terza madre, e una serie di film che negli ultimi anni hanno testimoniato un vistoso calo di qualità nelle opere del cineasta romano.

Chi è intenzionato a proseguire nella lettura deve essere consapevole che non si è potuto argomentare al meglio la recensione senza entrare nei dettagli della sceneggiatura con tutti gli inevitabili spoiler del caso, quindi lettore avvisato…

Giallo, ambientato nella suggestiva Torino, ci racconta di un serial killer molto particolare che traumatizzato da bambino a causa di una patologia cronica al fegato e reso da quest’ultima deforme, da qui il soprannome il Giallosi aggira con un taxi per Torino rapendo bellissime modelle per deturparne la bellezza onde appagare la propria frustrazione. A dargli la caccia il detective Enzo Avolfi (Adrien Brody) che ha ormai alle spalle più di qualche vittima innocente e un bel trauma infantile ancora tutto da elaborare, ma l’arrivo nella sua vita di Linda (Emanuelle Seigner), sorella di una modella scomparsa lo porterà finalmente sulla pista giusta.

Cominciamo col dire che è senza dubbio il thriller la dimensione naturale per un regista che ci ha regalato un cult inarrivabile come Profondo rosso, ma è anche vero che Argento comincia a far trapelare una certa inadeguatezza diventando quasi anacronistico in fase di scrittura, allestendo come in questo caso una  messinscena poco realistica e a tratti surreale.

Sembra quasi non rendersi conto dello scorrere del tempo e della platea di spettatori ormai anche troppo avvezzi al genere, ci sembra strano che si possa concepire uno script così prevedibile senza pensare, neanche per un istante all’impatto che può avere sul pubblico.

Si tratta lo spettatore come un bambino alle prime armi, si spiattella sin dai primi minuti identità e motivazioni del serial-killer di turno dal make-up palesemente posticcio e grottesco, che non riesce per nulla a nascondere una caratteristica sin troppo marcata del bravo Adrien Brody, dandogli l’aspetto di un sorta di Rocky Balboa deforme, ma non solo, l’aspetto influisce in negativo sulla caratterizzazione dell’attore, per forza di cose sopra le righe, che si trova per le mani una personalità infantile deviante ed un’infanzia traumatica ben poco approfondita, un’occasione persa per il regista per sbizzarirsi e creare un adeguato microcosmo disturbato e straniante in cui calare il personaggio e di contro noi volenterosi spettatori.

Meglio per l’altro protagonista l’ispettore Avolfi, sempre interpretato da Brody, stavolta decisamente più in parte, insieme alla co-protagonista del film Emanuelle Seigner e all’efficace e splendida Elisa Pataki, nei panni della modella di turno rapita e torturata. Il film si poggia su un percorso investigativo traballante, basta vedere come si scopre che il killer soffre di ittero, o assistere impotenti ad una scena in cui l’ispettore si lascia scappare il killer all’interno di un ospedale, per non parlare del finale tirato via con un lieto fine solo suggerito, invece no comment sul nome anagrammato nei titoli di coda.

Oltre al cast che sfoggia una prova più che dignitosa, speriamo che in fase di doppiaggio non si rovini tutto, non mancano i consueti  sprazzi dell’Argento di un tempo che costellano la pellicola, vezzi con la macchina da presa che ci ricordano con un pò di malinconia il miglior Argento, purtroppo la sceneggiatura, ad opera  dello stesso Argento, non è all’altezza ne della sua stessa  maestria tecnica che anche in questo caso non perde mai il suo smalto, ne di un cast di bravi interpreti che vengono sottoutilizzati, e nel caso di Brody portato su registri estremi non consoni alla sua vis attoriale.

Sicuramente Giallo è un deciso passo in avanti rispetto alla famigerata La terza madre, ma è indubbio che l’ultimo decennio abbia segnato il passo in negativo per Argento, che a partire da Il fantasma dell’opera ha inanellato una serie di risultati tutt’altro che soddisfacenti, speriamo che dal prossimo lavoro si possa aprire un nuovo periodo per il regista, a cui auguriamo con tutto il cuore di ritrovare l’ispirazione di un tempo.