Ascesa e caduta di una banda e di tre amici d’infanzia legati a doppio filo da un passato di borgata e un futuro criminale tra violenza, droga e sete di potere.
Libano: E tu zitto e catena pure se manco come cane vali na lira t’ho ammazzato il padrone e nn hai detto “a” t’ho tirato un osso ed eccote qua.
Il Nero: L’hai mai guardato negli occhi uno dopo che gli hai sparato? Io sì, sempre. In quel momento è come se si togliessero una maschera, uno dal niente diventa sfrontato, uno che era coraggioso piange, senza Dio prega… Chissà come saremo quanto toccherà a noi.
Dandi: Zio Carlo, guardi che non è ‘na mancanza de rispetto. È che noi non ce l’avemo mai avuta ‘na famiglia come ‘a vostra, che, che te dice quello che, che bisogna fa, o quello che è giusto dì e quello che non se pò dì. Noi semo solo gente de strada, ma n’affare ce stamo dentro.
Il Vecchio: Glielo dico io chi sono. Prima che lei raccolga stupide maldicenze. Sono un servitore dello stato. Per ragioni di servizio mi misuro col male, come lei d’altronde. Vede, i segnali che raccolgo da un po’ di tempo a questa parte mi dicono che molto presto tutto finirà. La divisione del mondo, il muro di berlino con il quale sono invecchiato presenta delle crepe molto evidenti e molto presto verrà giù trascinando sotto le sue macerie la classe politica di 50 anni io me ne andrò un minuto prima del terremoto. Ma non si incomodi con le sue indagini per spazzarmi via. Lo farà la storia.
Dandi: ‘nsomma Libano, sta base ce serve pe fà che?
Libano: Per pijasse quello che se volemo pijà tutti.
Dandi: E che se volemo pijà tutti?
Libano: Roma.