Parlando di trasposizioni dalla ram alla celluloide, si rischia sempre di perdere di vista l’obiettivo. Il concetto è molto semplice: per quanto ci si trovi in entrambi i casi di fronte a uno schermo, si tratta comunque di due forme di intrattenimento molto diverse, sia come tipologia intrinseca, sia, di conseguenza, come grado di partecipazione.
Per questo lo sforzo di chi traspone a mio avviso è massimo, in quanto non si tratta semplicemente di cogliere elementi essenziali da un contesto, e spostarli linearmente in un altro. In questo caso il più delle volte infatti è impossibile; si tratta invece di riuscire a comprendere i tratti caratteristici e di costruire da zero qualcosa di nuovo che riesca in qualche modo ad aggiungere qualcosa.
Questo è un aspetto della questione. L’altro riguarda la scarsità di materiale che abbiamo a disposizione per la valutazione: troppo poco, considerato che fare una classifica richiede almeno un certo numero di elementi tra cui scegliere.
Invece niente, ho qui tra le mani quei sei o sette nomi e devo scegliere un numero cinque e un numero uno, il più bello e quello che è sotto di cinque posti in classifica. La polarizzazione segue come conseguenza diretta.
Al momento trovo che non si sia ancora trovata una strada generica per convertire in modo efficiente un videogioco in un film. Sembra che questo sia legato principalmente al fatto di voler in qualche modo imporre tali produzioni al grande pubblico.
Per questo motivo, la formula sembra essere organizzata fondamentalmente in tre punti: cogli gli aspetti visivamente più significativi, inventa velocemente una trama, metti tutto insieme: è questo, secondo me, il caso del mio quinto e quarto posto, assolutamente intercambiabili per quello che mi riguarda.
Si tratta di Street Fighter e di Mortal Kombat. Il primo è nei cuori di tutti noi per vari motivi: qualcuno ci ha investito miliardi, qualcuno si è innamorato di Chun-Li, qualcuno ha sacrificato la propria adolescenza a cercare di capire tutte le combo.
Il film secondo me è asolutamente poco significativo. La presenza di Raul Julia, nei panni di Mister Bison, o di Van Damme sono assolutamente ridondanti. La storia è banale, il film è un pacchetto sulla cui confezione c’è scritto: inviare a tutti coloro che in un modo o in un altro conoscono o hanno conosciuto il videogame.
Non ci siamo. Non si fa così. Stessa storia per Mortal Kombat, del regista Paul W. S. Anderson. Anche MK è segnato da un tentativo di traino, la presenza di un canuto Christopher Lambert, e poco, poco altro.
Le cose secondo me migliorano lievemente con Doom. In Doom, la storia ricorda il videogioco, ma emerge una volontà chiara di ricosturirne l’atmosfera, e non solamente di scimmiottarne qualche aspetto che magari potrebbe averci colpito durante il videogioco. Il film di Andrzej Bartkowiak non riesce assolutamente a far gridare al miracolo, e la presenza di The Rock non contribuisce a migliorare il risultato.
I fan come me sono andati al cinema a rivivere quelli che sono stati momenti videoludici memorabili, e si sono visti un film che raggiunge appena la sufficienza come action movie, e che fa fare qualche salto sulla poltrona di quando in quando.
Tutt’altra storia per quello che riguarda Resident Evil, in tutte e tre le forme che ha assunto. Non sto dicendo che si tratti di un capolavoro, ma certamente di un action movie che non cerca di aludere al videogame con qualche riferimento esplicito.
La trama, lo riconosco, è abusata, o per lo meno lo sono i usoi ingredienti: epidemia, zombie, azione. Questi gli elementi necessari a farci scorrere l’adrenalina in corpo e con cui Resident Evil si propone al grande pubblico, per non parlare di una Milla Jovovic letale quanto bella.
In un modo o in un altro, la storia è andata avanti da sè, citando il videogioco con parsimonia di quando in quando, ora con qualche riferimento ai personaggi, ora con qualche cattivone da cui siamo stati maciullati più e più volte nel gioco.
Giungiamo infine al film che metto indubbiamente al primo posto: Silent Hill. Il film è un circo nero in cui vediamo sfilare creature mostruose di una certa originalità, legate a un luogo colpito, più che da una maledizione, da una vera e propria realtà notturna.
In Silent Hill sono presenti temi come l’ambivalenza e la paura di questa, nonchè una trama sotto coperta assolutamente da scoprire che in qualche modo ci terrifica ed emerge in modo abbastanza graduale da mantenere fissato il nostro focus attentivo.
A me è piaciuto molto, e ho apprezzato assai il modo in cui lo spirito del gioco è stato usato per dipingere sulla pellicola. Credo altresì che siamo solo all’inizio, mi aspetto di dover ripulire e stravolgere la top five al più presto, con nomi tutti nuovi. Non so voi, ma io non vedo l’ora divedere Prince of Persia..