Dopo un lungo tramonto, durato qualche anno, Venezia è riuscita a rialzare la testa, ad appoggiarsi sulle proprie mani, e ha cominciato a scrollarsi di dosso le macerie della guerra. Macerie fisiche, macerie culturali. Come una fenice nascitura, il festival ha continuato ad ardere sotto la cenere (mio dio, sembro Louis Miguel!) fino alla resurrezione, con l’arrivo del 1946.
Come per tutti, anche per il Festival di Venezia l’uscita dal tunnel non è stata nè immediata, nè indolore. Aiutato da una incredibile voglia di ricomincire, a dall’esplosione dell'”artisticità” repressa in quei difficili anni, il Festival riprende, stavolta a pieno regime.
Ed è il Neorealismo a fare da testimone a questo secondo inizio, anche se i film che lo rappresentano più da vicino, sembrano inizialmente non riscuotere il successo meritato; in questi anni si riaprono le porte al cinema internazionale, che torna, portando orgogliosamente sul vassoio una sequela interminabile di grandi registi e divi di ogni genere.
Chissà se Francesca, che aveva fatto di tutto per partecipare alla rinascita del ’46, è riuscita a trattenere le lacrime mentre vedeva Il sole sorge ancora (1946) di Aldo Vergano. Chi è Francesca? Una qualunque, negli occhi della quale il festival brilla della sua massima luminescenza.
Francesca cerca di colmare il vuoto lasciato dagli occhi che la guerra ha posato su di lei, con la speranza di starsene seduta nel Palazzo del Cinema; ma gli Alleati l’hanno requisito, e quindi si “ripiega” sul cinema San Marco. Ma le lacrime agli occhi le vengono lo stesso.
Ma il ’46 è solo l’inizio. L’anno dopo, abbiamo pure dei vincitori, e il fervore cresce con Caccia tragica e con un record di novantamila presenze in raccolte in Palazzo Ducale. Chi vince? Siréna, di Karel Steklý. Ma di certo non mancano i nomi.
Solo per citarne alcuni, Monsieur Vincent di Maurice Cloche, Odd Man Out di Carol Reed , L’Onorevole Angelina, di Luigi Zampa, La Perla, di Emilio Fernández, per non parlare di The Stranger, di Orson Welles.
Per il 1948, basti citare un unico, grosso nome: Laurence Olivier vince il premio come miglior attore e per il miglior film – pensate che era anche il produttore – con Amleto (Hamlet), accompagnato da un altro colosso : The Treasure of the Sierra Madre di John Huston .
Gli anni quaranta finiscono in bellezza, con il nuovo responsabile Antonio Petrucci che porta la manifestazione definitivamente al Palazzo del Cinema al Lido di Venezia. Viene istituito il Premio Leone di San Marco per il miglior film, che viene vinto per la prima volta da Manon di Henri-Georges Clouzot, per non parlare dell’esordio di Jacques Tati. Giorno di festa, è una piacevole sorpresa, e segna l’inizio di un grande cinema francese.
Arrivano, puntuali come un decesso, gli anni cinquanta. Chiudiamo gli occhi e respiriamo quell’aria, più pulita di quella di ora, e più densa di speranze e di emozioni. Il festival continua a crescere esponenzialmente, e accoglie a braccia aperte la scuola giapponese e quella indiana. Il 1950 è l’anno di Justice est faite di André Cayatte, e Roberto Rossellini ci racconta l’affascinante Stromboli.
L’apertura internazionale esplode poi nella conquista del Leone d’Oro da parte di L’invitto di Satyajit Ray, emblema del nascente cinema indiano. Il film vive il suo momento di gloria nel 1957. Francesca continua a seguire il festival, anno dopo anno, e davanti a lei parlano e presentano Federico Fellini e Michelangelo Antonioni.
Nel 1954 e nel 1960 Visconti si vede sottrarre il Leone d’Oro, che sembrava già assegnato al suo Senso, rispettivamente da parte del Romeo e Giulietta di Renato Castellani, e da ll passaggio del Reno di André Cayatte, alla faccia di Rocco e i suoi fratelli.
Ma a Francesca non interessa. Le sue emozioni crescono conme la tela di un ragno stacanovista, e sente che siamo solo all’inizio. E questo la rende felice come non mai.