Quando questi dieci anni saranno passati, di me sarà rimasto qualcosa di importante, me lo sento. Non importa se di nuovo è Agosto e le cose sembrano identiche a come erano due o tre anni fa. Scricchiolante, l’asfalto sornione in siesta intorno alla laguna si prepara a un altro decennio di festeggiamenti cinematografici.
Anche lui sa che il tempo passa,e trasforma le cose in modo da dare anche qualche possibilità di riprendersi, almeno a volte. Chiudo gli occhi e inspiro il desolato fervore, come se in qualche modo riuscissi a bucare lo spazio-tempo e a essere qui, nello stesso luogo, ma in un tempo spostato, anche di poche ore: questa sera.
Mentre Luchino Visconti si lecca le ferite per la seconda volta, mi rendo conto che a volte l’emozione mi fa dimenticare chi sono, e a volte anche cosa sono; spero solamente, visto che sono così confuso, che la mia natura sia tale da permettermi di entrare nella grande sala, dove potrò vedere proiettati, su uno schermo enorme, i sogni più belli.
Niente mi impedirà di continuare a partecipare a questa magia, almeno fino alla metà degli anni settanta. Siamo ancora nel pieno fulgore dell’ “era Chiarini”, che illumina i volti di personaggi come Claudia Cardinale, Marcello Mastroianni e Monica Vitti. L’Italia torna quindi a spadroneggiare. E lo fa con un certo stile.
L’Italia vince, non una, non due, non tre, ma per ben quattro volte consecutive fregiandosi del premio più prestigioso: nel 1963 vince Le mani sulla città di Francesco Rosi, nel 1964 il premio va a Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni, mentre nel 1965 tocca, finalmente, a Vaghe stelle dell’Orsa, la vittoria di Luchino Visconti che tanto ci ha fatto penare; temevo non vincesse più.
Tanto per strafare, tocca infine a La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo. E il ’68? In quell’anno esistevo nell’aria, come in un sogno, e sentivo il fervore di quelle che poi ho capito essere agitazioni sociali e politiche. Da entità imberbe e ignorante, disinteressata al sociale, trascuravo che questi avrebbero avuto ripercussioni anche sul cinema.
Era quindi il 1968, e la mostra del cinema, dipendente dalla Biennale, era retta ancora dallo statuto di epoca fascista. Questo non fu tollerato, e ci fu una forte rottura col passato, con un conseguente ritorno alle origini. Non so se questo sia stato un bene o un male. So che dal 1969 al 1979 la rassegna si è tenuta ma senza competitività. Che delusione, se non ricordo male, nel 1973, 1977 e 1978, anno della mia nascita, non vi fu alcuna mostra.
Peccato, avrei voluto festeggiare i miei natali proprio andando al cinema. Invece niente, per rivedere Il Leone d’Oro abbiamo dovuto attendere il 1980, con una curiosa vittoria doppia, legata al pareggio tra Louis Malle e John Cassavetes.
Nel 1971 viene introdotto il Leone d’Oro alla carriera, che andò a John Ford e niente meno che a Charlie Chaplin, visto quello che ha rappresentato per il cinema. Pensate che nel 1972 venne organizzata le Giornate del cinema italiano, sotto l’egida dell’ANAC (Associazione Nazionale Autori Cinematografici) e dell’AACI (Associazione Autori Cinematografici Italiani), una mostra simbolo di contrasto e contestazione verso la mostra retta dalla Biennale. Forse fu anche per questo che l’anno successivo Gian Luigi Rondi, direttore, fu costretto a dimettersi.
Non furono anni facili per la mostra, ma questa ne ha visti sicuramente periodi peggiori. Sono anni in cui, con la direzione intrapresa da Gambetti, vediamo I diavoli di Ken Russell e Domenica, maledetta domenica di John Schlesinger, o Attenzione alla puttana santa, un altro film-scandalo, di Rainer Werner Fassbinder, Anche gli uccelli uccidono di Robert Altman, per arrivare, nel 1976, a vedere Novecento di Bernardo Bertolucci .
Tra tutti emerge Arancia meccanica, con Malcolm McDowell, di Stanley Kubrick che fu presentato a Venezia nel 1972. Nel 1979 finalmente le cose sembrano mettersi meglio, grazie al nuovo direttore Carlo Lizzani. Il nome passa a un sobrio Mostra Internazionale del Cinema, al posto del precedente Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Grazie al “non presentato a Venezia” Guerre Stellari, del 1977.
Negli anni ottanta aumentano le retrospettive, dedicate ad autori e movimenti importanti; nascono sezioni nuove di sperimentazione e ricerca, come Officina e una dedicata a film spettacolari, denominata Mezzogiorno-Mezzanotte; nasce e spopola Indiana Jones, con I predatori dell’arca perduta del 1981 ed E.T. l’Extra-Terrestre del 1982, entrambi di Steven Spielberg.
Non dimenticherò mai I cancelli del cielo di Michael Cimino , il mitico e sinistro Poltergeist – Demoniache presenze di Tobe Hooper , e non dimentichiamo che dal 1980 la rassegna torna competitiva. La mostra respira, cresce, e vive momenti di gloria.
La mostra vive il suo momento d’oro, dopo gli “oscuri” anni sessanta, si affermano il giovane Emir Kusturica, vincitore del Leone d’Oro per la migliore opera prima nel 1981 con Ti ricordi di Dolly Bell?, e Peter Greenaway, che presenta I misteri del giardino di Compton House.