Ancora una giornata ricchissima di proiezioni alla trentesima edizione del Festival di Torino, visto il cartellone davvero impressionante per numero di titoli come di consueto ne abbiamo selezionati alcuni che includono naturalmente i film in competizione per il Concorso internazionale.
Oggi per le proiezioni in competizione (Torino 30) vi segnaliamo lo svedese Call Girl di Mikael Marcimain, lo spagnolo Terrados di Demian Sabini, il cecoslovacco Made in Ash di Iveta Grófová e l’italiano L’ultimo pastore di Marco Bonfanti.
Per le sezioni collaterali oggi Rapporto confidenziale presenta il thriller spagnolo Fin di Jorge Torregrossa, Festa Mobile il francese The other Son di di Lorraine Levy e Torino XXX il dramma irlandese What Richard Did di Lenny Abrahamson.
CALL GIRL
Svezia, fine anni Settanta. La giovane Iris finisce con un’amica in un giro di prostituzione d’alto bordo i cui clienti sono in maggioranza politici. Il momento è particolarmente delicato, perché dopo anni di governo i socialdemocratici rischiano di perdere le elezioni e la società sta affrontando una crisi economica e un generale mutamento di costumi. Dalle frequentazioni della classe dirigente nascerà un’indagine che vedrà coinvolte le ragazze, le quali dovranno decidere con quale parte del potere schierarsi.
«All’inizio pensavo di fare un thriller politico classico, con forti legami coi miei film preferiti degli anni Settanta di Hollywood. La trama era ispirata a un scandalo politico esploso a Stoccolma verso la metà di quegli anni. In un certo senso tutto era già nella sceneggiatura, ma con l’aumentare del mio coinvolgimento ho capito di dovermi addentrare nelle zone d’ombra dei personaggi, dipingerli come contradditori e non semplicemente buoni o cattivi. Il film è diventato così un thriller sociale e personale sulla Svezia, in un’epoca di liberazione sessuale e di confusione».
TERRADOS
Nel 2010, quando in Spagna la crisi economica è già pesantissima, il trentenne Leo e i suoi amici vivono grazie all’assegno di disoccupazione. Sfiduciati dalle prospettive lavorative, passano le giornate sui terrazzi della città senza fare nulla in particolare, se non lasciar trascorrere le ore. Ma in queste giornate di evasione, Leo si accorge di non essersi mai fermato a pensare cosa desideri realmente e questa nuova consapevolezza lo porta a mettere in discussione il suo rapporto con la fidanzata e il migliore amico.
«In qualità di regista e produttore, voglio sottolineare che il film è stato realizzato senza nessun finanziamento pubblico o televisivo e con un budget ridotto. Ciò è stato possibile grazie al grande sforzo della troupe e degli attori che hanno lavorato senza compenso, ai musicisti che hanno messo a disposizione la loro bellissima musica e alle persone che ci hanno fornito le location. Tutto questo ha reso questa esperienza ricca e avventurosa, ed è coerente con la tematica sociale del film, che parla della situazione economica che sta attraversando la Spagna».
MADE IN ASH
Dopo il diploma Dorota decide di abbandonare il piccolo paese slovacco dove vive con la famiglia per cercare lavoro nella cittadina di Aš, nella Boemia occidentale, in attesa che il suo ragazzo la raggiunga una volta sistemata. Come tanti immigrati slovacchi e ucraini, trova impiego nella fabbrica tessile della città e nel tempo libero cerca di divertirsi nonostante la stanchezza. Ma la sua scelta di cambiare vita le si ritorce contro e il sogno accarezzato assume presto le sembianze di un incubo.
«Dorota proviene da un piccolo villaggio slovacco e non ha molte possibilità tra cui scegliere. Decide quindi di lavorare come sarta in una cittadina sul confine tra la Repubblica Ceca e la Germania, dove i suoi sogni lentamente si trasformano in cenere. La storia della sua vita nella città di Aš è ordinaria e quotidiana. La mia priorità era cogliere nel modo più onesto possibile le motivazioni della ragazza in un posto come Aš, di fronte a decisioni difficili, di quelle che cambiano la vita e che superficialmente potrebbero essere percepite come immorali».
L’ULTIMO PASTORE
Diviso tra le Alpi e Milano, città divorata dal progresso che anno dopo anno lo spinge sempre più ai suoi margini, Renato Zucchelli è un personaggio unico. Proveniente da una famiglia normale che avrebbe voluto per lui un’esistenza altrettanto normale, ha scelto invece la via della pastorizia, divenendo l’ultimo pastore metropolitano. Ma proprio Renato, con i suoi gesti e le sue parole, ci mostra come la presunta «normalità» spesso si basi su uno stravolgimento delle nostre radici e dei nostri reali bisogni. E allora perché non sognare di portare un intero gregge di pecore in piazza del Duomo, per riprendersi simbolicamente uno spazio ormai deumanizzato?
«Il film è il racconto poetico e stralunato di un pastore metropolitano, che tra finzione e documentario si fa largo come un mio personalissimo Don Chisciotte fra i palazzi e le macchine, i grattacieli e le incomprensioni del progresso. Una fiaba contemporanea, a metà tra il cartoon e il musical, che offre uno sguardo leggero sui limiti della nostra società, smarrita perché ha scambiato il progresso con la felicità».
FIN
Un gruppo di vecchi amici si ritrova per un breve soggiorno in una baita. Sebbene siano molto affiatati, il ricordo sbiadito di un avvenimento passato li tormenta. Una serie di eventi inspiegabili e inquietanti li blocca nella zona isolata dei Pirenei in cui si trovano: la corrente elettrica salta, le automobili non partono, gli orologi si fermano a mezzanotte e venti, i cellulari restano muti. Nel tentativo di trovare una spiegazione e di mettersi in comunicazione con l’esterno, il gruppo mostra i primi segni di frattura. Ma ciò che devono davvero temere è al di fuori della loro cerchia.
«Fin è un thriller che usa elementi fantastici per raccontare una storia il cui nucleo è costituito dal vuoto emozionale e dalla frustrazione dei personaggi. La suspense è generata tanto da fattori esterni e inspiegabili quanto dalle circostanze personali di ciascun membro del gruppo, il culminare dei quali li catapulta in un’avventura estrema in cui vita, morte e sopravvivenza rivestono un ruolo chiave».
WHAT RICHARD DID
Richard è un rampollo della Dublino bene. Atletico e di bell’aspetto, è il più popolare e invidiato dai suoi amici, ai quali è molto legato. Una volta che le scuole superiori sono finite, ciò che lo attende prima dell’inizio dell’università è una lunga estate di svago. Durante una festa sulla spiaggia incontra Lara: per lui conquistarla è un gioco da ragazzi. Una sera, però, il mondo gli crolla addosso: con un gesto avventato, di cui non si sarebbe mai creduto capace, fa precipitare nell’orrore la sua vita e quella di coloro che lo circondano. Pur avendolo sempre ammirato, da questo momento guarderanno a lui con occhi diversi. Un dubbio sembra affiorare sia nella sua coscienza sia tra i suoi conoscenti: chi è il vero Richard?
«La maggior parte di noi ha una conoscenza limitata di se stesso. Iniziamo a conoscerci man mano che invecchiamo. Ma da giovani siamo in gran parte sprovvisti di questa capacità. In What Richard Did assistiamo alla vicenda di un adolescente che in un colpo solo deve mandar giù il peso della disillusione di una vita intera».
THE OTHER SON / LES FILS DE L’AUTRE
Poco prima di entrare nell’esercito israeliano per sottoporsi ai due anni di leva obbligatoria, Joseph scopre di essere stato scambiato alla nascita da quelli che ha sempre considerato i suoi genitori biologici con Yacine, un coetaneo nato in una famiglia palestinese della Cisgiordania. Uno shock fortissimo per i due ragazzi, così diversi fra loro, e per i loro familiari, che porterà tutti quanti a riconsiderare valori, convinzioni e rispettive identità.
«La famiglia è un microcosmo in cui ha origine ciò che siamo. Ma cosa vuol dire essere un bambino? Ed essere un adulto? Si può scegliere di restare l’uno o divenire l’altro? Mi piace molto la definizione di Kenneth Branagh: “Un adulto è soltanto un bambino con dei doveri”. Evidentemente nel Figlio dell’altra si punta direttamente al cuore della domanda precedente. I due ragazzi del film hanno affrontato percorsi di vita talmente differenti che uno è già cambiato drasticamente mentre l’altro non ancora. […] Ho voluto che questa differenza saltasse agli occhi, che questa rottura fosse incarnata fisicamente dai miei attori».
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