Tra i film in cartellone al Festival di Roma 2012 c’è anche A Walk in the Park dell’americano Amos Poe, esponente di primo piano del movimento No Wave Cinema nato in concomitanza con il boom della musica punk e che tra i suoi autori include nomi del calibro di Jim Jarmusch e Abel Ferrara.
“A Walk In The Park” è, secondo le parole del protagonista Brian Fass, «un film di fantascienza, uno psichedelico viaggio di ritorno al grembo materno…». Questo percorso realizzato nelle forme del documentario, passa vertiginosamente e senza sosta dal reale alla finzione e viceversa. È un’ironica analisi su temi come la verità, la depressione, la tossicodipendenza, le relazioni familiari, l’ambizione e il castigo, la violenza e la poesia. Il film richiama i misteri insondabili della mente, il suo reticolo di logica, linguaggio e comportamento, come una sorta di puzzle rorschachiano, che mira a ridefinire il genere documentario facendone una discesa vorticosa dentro l’abisso del sé…
Pur trattandosi di un lavoro su commissione, A Walk In The Park ha finito per essere il più personale dei miei film. Non c’era una sceneggiatura. Il film avrebbe preso forma strada facendo. Cercavo un nuovo modo per vedere, sentire e percepire le paure più profonde, le emozioni autentiche e l’immensa aspirazione ad amare ed essere amato del protagonista, i piccoli dettagli della sua esistenza; tutte quelle cose che messe insieme – e cos’è il cinema se
non l’insieme di queste cose? – avvicinano lo spettatore alla verità. Il digitale ci ha fornito gli strumenti per vedere, strutturare, “sentire” il film, e dunque creare una storia. Durante le riprese, ho iniziato a notare delle analogie tra la vita di Brian e la mia; ero sempre più affascinato, emotivamente coinvolto. Brian stava diventando il soggetto ideale per un film, pur non essendo proverbialmente un eroe o un personaggio famoso. Non volevo fare un film pieno di mezzibusti; istintivamente, ho filmato Brian davanti a una finestra illuminata nel suo salotto e così è arrivata un’intuizione fondamentale per il film, cioè l’idea di usare la silhouette come “abisso del sé”. [Amos Poe]