Recensione: La terra degli uomini rossi

Arriva alla Mostra, dopo Ozpetek e Avati, il terzo dei quattro film italiani in gara per il Leone di Venezia: Marco Bechis con BirdWatchers – la terra degli uomini rossi. Il regista italo-cileno, già in gara a Venezia con il suo terzo film Hijos-Figli (2001), racconta l’estinzione dei Kaiowa, antica tribù del Sudamerica.

Pellicola ambientata nel Mato Grosso do Sul (Brasile), oggi. I fazenderos conducono la loro esistenza ricca e annoiata. Possiedono campi con coltivazioni transgeniche che si perdono a vista d’occhio e trascorrono le serate in compagnia dei BirdWatchers, i turisti venuti ad osservare gli uccelli.

Ai limiti delle loro proprietà cresce il disagio degli indios. Costretti in riserve, gli indigeni, un tempo legittimi abitanti di quelle terre, conducono una vita priva di qualsiasi prospettiva; molti di loro, spesso i giovani, si suicidano. E’ proprio un ulteriore suicidio a scatenare la ribellione.

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Recensione: Ponyo sulla scogliera sul mare

Ponyo, la paffuta, dolcissima e coraggiosa ultima creazione del maestro giapponese Hayao Miyazaki incanta la quinta giornata di programmazione alla Biennale di Venezia, strappa applausi e ovazioni, regala sogni e speranza in un Festival dominato dal dolore, depressione, violenza e devastazione interiore.
Già grande successo in Giappone, uscito il 19 luglio ha incassato finora 120 milioni di dollari, Ponyo on the cliff by the sea, in concorso, è una favola colorata e tenera destinata soprattutto al pubblico dei bambini, dove il regista mescola La sirenetta e La cavalcata delle Valkirie, temi caldi al disneyano Nemo e allusioni alla cronaca, tsunami e difesa dell’ambiente.
Una cittadina in riva al mare. Sosuke è un bambino di cinque anni che vive in cima a una scogliera affacciata sul mare. Un giorno, mentre sta giocando sulla spiaggia rocciosa sottostante, si accorge di una pesciolina rossa di nome Ponyo con la testa incastrata in un vasetto di marmellata; Sosuke la salva e la ripone in un secchio di plastica verde.

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Recensione: Il papà di Giovanna

Lunghi applausi del pubblico accolgono il secondo dei quattro film italiani in concorso alla Biennale di Venezia; Il papà di Giovanna, di Pupi Avati che torna in laguna tre anni dopo La seconda notte di nozze, puntando su un tema ricorrente in questa 65ma mostra: la tragedia famigliare.

Bologna 1938. Michele Casali (Silvio Orlando) si trova in una situazione disperata: la sua unica figlia, Giovanna (Alba Rorhwacher), ha ucciso la propria migliore amica e compagna di scuola per gelosia. La ragazza, ancora adolescente, grazie alla testimonianza degli psichiatri viene dichiarata insana di mente e rinchiusa nel manicomio criminale di Reggio Emilia, anziché in carcere.

Durante il periodo di isolamento quasi totale cui è sottoposta, la sola persona a occuparsi di lei è il padre, a conferma del loro particolare legame dal quale la madre, Delia (Francesca Neri), era sempre rimasta esclusa. Testimone dei terribili eventi è Sergio (Ezio Greggio), ispettore di polizia e amico intimo di Michele, da anni segretamente innamorato di Delia.

Nell’inverno del 1953, in una Bologna che sta ancora cercando di riprendersi dopo i massacri della guerra, Delia incrocia lo sguardo della figlia Giovanna, ormai guarita e come sempre accompagnata dal padre, nel buio di un piccolo cinema. La madre non avrà più incertezze: proveranno a ricominciare una nuova vita, questa volta insieme.

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Recensione: Un giorno perfetto

Primo film italiano a competere per il Leone d’oro a Venezia: Un giorno perfetto, di Ferzan Ozpetek, scritto con Sandro Petraglia, tratto dal romanzo di Melania Mazzucco.

Per la prima volta il regista de La finestra di fronte si misura con una storia che non porta la sua firma e con un mondo segnato dalla tragedia più estrema.

Emma e Antonio, sposati con due figli, sono separati da circa un anno. Antonio vive da solo nella casa dove abitava con la moglie, mentre Emma è tornata da sua madre, portando con sé i bambini. Poi, una notte qualunque, una volante viene chiamata nel palazzo e la polizia si accinge a fare irruzione nell’appartamento da cui qualcuno ha sentito provenire gli spari.

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Recensione: The Burning Plain

The Burning Plain, che inizialmente doveva chiamarsi I Quattro Elementi, è il nuovo acclamato lavoro in concorso alla 65 Mostra del Cinema di Venezia del maestro Guillermo Arriaga, premio Oscar per Babel.

Opera drammatica che analizza il legame misterioso che unisce diversi personaggi separati nello spazio e nel tempo: Marianna (Jennifer Lawrence), una sedicenne che cerca disperatamente di rimettere assieme i cocci delle vite dei genitori in una città di confine in Messico; Sylvia (Charlize Theron), una donna di Portland che deve affrontare un’odissea emotiva per cancellare un peccato dal suo passato; Gina (Kim Basinger) e Nick (Joaquim de Almeida), una coppia alle prese con un’intensa relazione clandestina e Maria (Tessa Ia), una giovane ragazza che aiuta i genitori a trovare la redenzione, il perdono e l’amore.

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Recensione: Jerichow

    Al via la presentazione ufficiale nella sezione concorso del nuovo lavoro di Christian Petzold: Jerichow alla 65 edizione del Festival del Cinema di …

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Recensione: Burn after reading

 

 

L’apertura è di quelle con il botto, che riescono a catturare l’attenzione di stampa e televisioni di tutto il mondo. Apre la 65° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia la spy story politica e demenziale degli errori e degli orrori della CIA e i (dis)Servizi Segreti: Burn After Reading. Film fuori concorso di Joel ed Ethan Coen formato da un cast stellare contemporaneo: Brad Pitt e George Clooney.

 

Nei quartieri generali della CIA ad Arlington Va. arriva l’analista Osborne Cox (John Malkovich) per un incontro top secret. Sfortunatamente per Cox il segreto è presto svelato: è stato espulso. Cox non prende la notizia particolarmente bene e ritorna a casa, a Georgetown, per dedicarsi alle sue memorie e all’alcool, non necessariamente in quest’ordine.

Abbattuta, ma non particolarmente sorpresa, è sua moglie Katie (Tilda Swinton) che sta pensando di lasciarlo per il suo amante Harry Pfarrer (George Clooney), un maresciallo federale a sua volta già sposato..

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Cinema e Videogiochi: dal joypad alla celluloide

Ormai videogiochi e celluloide sono diventati come il Gatto e La Volpe. Non si tratta ancora di un fenomeno di massa, ma fa comunque un certo effetto appoggiare il joypad, andare al cinema ed esperire un curioso senso di deja vu.
La situazione è chiara: molti personaggi dei videogiochi stanno per seguire i primi, sparuti pionieri, nel salto verso il mondo del cinema. I primi tentativi non sono andati tutti tutti a buon fine, per usare un eufemismo, sia come realizzazione, sia al botteghino. Molti di voi avranno visto, ad esempio, Doom. Il film è un live action del 2005, basato sull’omonima, celebre saga di videogiochi.
Doom è l’FPS per eccellenza, una sorta di icona sacra, e forse le aspettative erano un pò eccessive. Il film in sè è una pellicola d’azione/horror abbastanza nella norma, veramente niente di cui scrivere sil diario. Qualche mostro carino, qualche salto sulla sedia se il volume è altissimo, ma poi, a parte una pioggia di piombo, non c’è molto altro.

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Ermanno Olmi, Leone d’Oro alla carriera a Venezia presenta La Leggenda del Santo bevitore

La 65.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, diretta da Marco Muller, stasera ha dedicato la preapertura al Maestro Ermanno Olmi e al suo film, La leggenda del santo bevitore, già Leone d’Oro nel 1988 e vincitore del premio Fipresci. Tratto dall’omonimo racconto di Joseph Roth, la pellicola è stata proiettata nell’Arena di Campo San Polo con una grande festa aperta al pubblico, i cui inviti gratuiti sono andati esauriti in poche ore, cosa che, fanno notare alla Biennale, non avviene sempre per questo genere di appuntamenti

Grande affetto e partecipazione di Olmi per la Mostra di Venezia. Il regista era al Lido già nel 1958 con alcuni documentari, Venezia città moderna e Tre fili fino a Milano, realizzati per la Edison Volta. L’anno seguente, in occasione della ventesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, debutta il suo primo lungometraggio, Il tempo si è fermato, vincitore del premio San Giorgio, Fondazione “G.Cini”. Nel 1961 vince il Premio della Critica ed il premio “OCIC” della Critica cattolica con il film Il posto. Lunga vita alla signora si è aggiudica, nel 1987, il Leone d’Argento.

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Festival di Venezia dalla sessantunesima alla sessantacinquesima edizione: David Lynch e i Fratelli Coen

Il congiungersi dell’inizio con l’era odierna mi rimanda a visionni di scenari solenni, come Stonehenge in una notte in cui si effettua un rito di rinascita o cose simili. Il percorso iniziato ormai tempo fa fortunatamente non sembra destinato a finire a breve.

Rivedo, con un pò di nostalgia, tutti i volti che ho visto passare fin’ora qui, in questa magica Laguna, e l’idea di svanire tra qualche paragrafo, mi fa sentire vuoto, mi fa sentire la necessità di prendermi dei punti di riferimento, come quando ci si scambiava l’inidirizzo con gli amici conosciuti al mare.

Sento il bisogno di qualcosa che mi dia un pò di sicurezza, qualcosa che non mi faccia sentire come una pallina della roulette, lentamente destinata a fermarsi; chissà se si rende conto della fine lenta e inesorabile della sua corsa. Spero per lei che in quel momento viva in una sorta di semi-coscienza, e che davanti ai suoi occhi si spengano i volti dei divi, come

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Festival di Venezia dalla cinquantunesima alla sessantesima edizione: da Abel Ferrara a Robert Rodriguez

A un certo punto mi sono reso conto di quello che significa “progresso”. Non sono ancora del tutto convinto che si tratti di un sinonimo di evoluzione. Tuttavia in un certo senso è come cadere dal letto mentre si sta giocando col proprio padre, o fratello, e, invece di fracassarsi completamente la testa, rompersi “semplicemente” un braccio.

Spesso, quando mi aggiro per le vie di Venezia, alla ricerca di tracce del festival, mi rendo conto che la gente ha l’ombrello aperto, ma non riesco a capire se lo fa perchè piove o per ripararsi dal solo. Sono così tante le cose che confondo, con questa confusione di auto e di novità. Anche i colori sono cambiati, non c’è più la discriminabilià di un tempo, dentro e fuori le persone.

E’ come se per qualche motivo le cose si siano complicate in modo esponenziale, abbastanza all’improvviso. Il mio unico timore è quello di non poter assistere, col fiato sospeso e i violini che stridono sadici nelle mie orecchie, a scene di vendetta, in terza persona, quasi bidimensionali, in cui il sangue del riscatto schizza orizzontalmente sulla neve, colorandola in modo caotico.

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Festival di Venezia dalla quarantunesima alla cinquantesima edizione: cos’hanno in comune Francis Ford Coppola e Paolo Villaggio?

Lo scorrere del tempo è scandito dall’alternarsi di colori divesrsi, sulla laguna; il colore del cielo, il colore degli occhi dei turisti, il colore dei sentimenti che aleggiano nell’aria e che lasciano una traccia invisibile ai più, ma dura a scomparire.

Io raccolgo tutto quello che succede qui, come se fossi uno spazzino. Mi muovo furtivo, aspettando che in giro non ci sia nessuno, con un sacchetto che non cambio mai, tanto la capienza è praticamente illimitata: le emozioni non hanno un peso fisico, almeno parlando in modo tradizionale.

Mentre passo attraverso la folla di questa meravigliosa mostra, di questa ricorrenza finalmente annuale, mi rendo conto che mi piace essere circondato dalle persone, aò fine di avere l’impressione che gli sguardi mi si posino addosso, che realmente qualcuno stia cercando me, invisibile testimone, fin dalla prima edizione, di questa eccitante atmosfera.

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Festival di venezia dalla trentunesima alla quarantesima edizione: dalla vittoria di Visconti fino a I Cancelli del Cielo

Quando questi dieci anni saranno passati, di me sarà rimasto qualcosa di importante, me lo sento. Non importa se di nuovo è Agosto e le cose sembrano identiche a come erano due o tre anni fa. Scricchiolante, l’asfalto sornione in siesta intorno alla laguna si prepara a un altro decennio di festeggiamenti cinematografici.

Anche lui sa che il tempo passa,e trasforma le cose in modo da dare anche qualche possibilità di riprendersi, almeno a volte. Chiudo gli occhi e inspiro il desolato fervore, come se in qualche modo riuscissi a bucare lo spazio-tempo e a essere qui, nello stesso luogo, ma in un tempo spostato, anche di poche ore: questa sera.

Mentre Luchino Visconti si lecca le ferite per la seconda volta, mi rendo conto che a volte l’emozione mi fa dimenticare chi sono, e a volte anche cosa sono; spero solamente, visto che sono così confuso, che la mia natura sia tale da permettermi di entrare nella grande sala, dove potrò vedere proiettati, su uno schermo enorme, i sogni più belli.

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Festival di venezia dalla ventunesima alla trentesima edizione: dalla bellezza di Sophia Loren a quella dei film di Bunuel

Come passa il tempo. Siamo già a metà degli anni cinquanta. Rombo di motore nuovo, strada asfaltata che si perde nei desideri delle persone. L’odore della Laguna era già forte allora, quando sembrava che il Festival di Venezia dovesse toccare il cielo in modo asintotico.

Fa così caldo. Ormai il Festival potrebbe chiamaris Festival del caldo. Ma perchè sempre in Agosto? Penso. E’ giorno, e fa caldo. Guardo le strade della città e provo un senso estatico di pace. Mi chiedo se questa felicità non artificiale durerà per sempre, se sarò sempre così felice guardando una strada deserta sotto il solleone.

Se fossi grande, stasera, adesso, potrei essere lì, magari potrei sentire, come sottofondo, la musica di Elvis Presley, che mi sembra così nuova, ma allo stesso tempo così affascinante. Mi manca non essere lì in questo momento, in questo frizzante 1956: ma me lo sento: sarà Maria Schell a trionfare, proprio con Gervaise, ma nessuno toglierà il premio San Giorgio a Kon Ichikawa, per Biruma no tategoto , alla faccia di coloro che non amano il cinema giapponese.

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