Cannes 2013: i grandi sconfitti

Douglas, Polanski e Soderbergh tornano a casa a mani vuote, insieme a Sorrentino.

People Roman Polanski Qualcuno, alla vigilia del Festival di Cannes, diceva che Steven Spielberg non avrebbe mai consegnato il miglior Premio della kermesse ad un film americano. Una scelta a priori fatta per non incorrere in incidenti diplomatici e per ‘tenersi buono’ l’esigente pubblico francese.

Così, la Palma d’Oro è appannaggio di un coraggioso regista franco-tunisino, Abdellatif Kechiche. La sua storia d’amore lesbo è stata ‘manna dal cielo’, poiché Spielberg ha potuto giustificare la sua scelta ripiegando su motivi più che validi per assegnarla.

'Behind The Candelabra' Photocall - The 66th Annual Cannes Film Festival

E gli americani? Come l’hanno presa? Qualcuno ha vinto qualcosa, altri hanno perso. Bruce Dern, alla veneranda età di settantasei anni ha battuto i colleghi Douglas e Damon. I Fratelli Coen si sono dovuti ‘accontentare’ del Grand Prix della Giuria. Una sorta di medaglia (o Palma) d’Argento.

D’altronde, la qualità era molto alta e qualcuno doveva pur perdere. Altri, inevitabilmente, dovevano tornare a casa a mani vuote.

Tra i sacrificati c’è “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, che però di ‘americano’ aveva ben poco. Semmai, il regista napoletano potrebbe pagare l’eccesso di ‘Dolce vita’ nel suo romanzo cinematografico sulla Roma dei Cafonal, forse mutuato a tratti dalla Roma vista da Federico Fellini.

O ancora, potrebbe pagare il dazio per via del fatto che nella sezione “Semaine de la Critique” è stato l’italiano “Salvo” a trionfare. Un doppio trionfo italiano sarebbe stato senza dubbio un incidente diplomatico.

Chi torna a casa molto deluso è Steven Soderbergh, fuori dal Palmares con il suo “Behind the Candelabra“.

Steven_Soderbergh_2539945b

Lo stesso dicasi per “Vénus in Fur“. Il film di Roman Polanski rimane all’asciuto. Eppure c’è chi sostiene con sua moglie, la signora Polanski-Seigner, il regista avrebbe potuto giocarsi delle carte per strappare la Palma per l’attrice andata poi a Berenice Bejo, sensazionale rivelazione del film “The Artist” qualche anno fa.

In qualche modo, inoltre, anche “A touch of sin” di Jia Zhangke ha raccolto meno di quanto meritava. Un premio per la miglior sceneggiatura è esiguo per un film e per un autore capaci di raccontare quattro storie della Cina odierna.

Zhangke ha dimostrato di saper descrivere uno scenario con un occhio cinematografico fuori dal comune, scegliendo le storie di quattro perdenti e seguendoli nel loro percorso ambizioso.