Giovedì 6 febbraio è iniziata la 64esima edizione del Festival del cinema di Berlino, uno dei più importanti del mondo, finito ieri 16 febbraio. Quest’anno i film presentati sono stati oltre quattrocento, divisi in cinque sezioni.
La giuria era guidata dal produttore e sceneggiatore americano James Schamus, insieme, tra gli altri, al regista Michel Gondry, l’attrice americana Greta Gerwig e l’attore premio Oscar Christoph Waltz.
Ad aprire il festival è stato “The Grand Budapest Hotel”, il nuovo film di Wes Anderson, che in Italia uscirà il 10 aprile. Il film si è aggiudicato il premio alla regia e un messaggio sarcastico di Anderson che, dopo il “leoncino” di Venezia e “la palma di cioccolato di Cannes”, ora ha finalmente un premio “in scala normale e di metallo”.
Nel cast del film Bill Murray, presente anche in un altro film fuori concorso, “The Monuments Men” (nelle sale italiane dal 13 febbraio), quinto film da regista di George Clooney, basato sulla storia di alcuni soldati speciali dell’esercito americano che vennero in Europa durante la Seconda guerra mondiale per recuperare le opere d’arte rubate dai nazisti.
Per il film a Berlino sono arrivati, più allegri che mai, Hugh Bonneville, Dimitri Leonidas, Bill Murray, John Goodman, George Clooney, Jean Dujardin e Matt Damon, il loro trenino sul red carpet ha fatto gioire i fotografi.
L’evento che ha dato più da parlare e ha fatto scatenare i fotografi è stata la presentazione di “Nymphomaniac” (in Italia a marzo), il discusso film di Lars von Trier: il regista si è presentato sul red carpet indossando una maglietta col simbolo del festival di Cannes e la scritta “persona non grata”, riferendosi polemicamente al 2011, quando il festival francese lo espulse per alcune frasi antisemite.
Altre turbolenze anche dall’attore Shia LaBeouf che, di pessimo umore (forse per le recenti accuse di plagio?), ha abbandonato la conferenza stampa alla prima domanda e si è presentato al photocall con un sacchetto di carta in testa con scritto “Non sono più famoso”, forse per ribadire il fatto che vuole ritirarsi dalla vita pubblica.
Il film che ha lasciato di più il segno è stato “Boyhood” di Richard Linklater, che sebbene già avesse legato il suo nome a progetti a lungo raggio (“Prima dell’alba”, “Prima del tramonto” e “Before Midnight”), riesce in “Boyhood” a fare qualcosa di completamente differente. Film che riprende i 12 anni di vita di un bambino, per raccontare non tanto i momenti topici della crescita o quelli eccezionali della vita, quanto quelli semplici e convenzionali, come se, solo nella quotidianità, ci fosse scritto il nostro essere autentico. Speriamo che questo film trovi presto una data di uscita per l’Italia.