Sembra che il regista James Cameron abbia di nuovo colpito nel segno con Avatar il suo kolossal sci-fi in 3D ben accolto dalla critica statunitense, che dopo la visione del film è stata unanime nell’apprezzarne non solo le indubbie doti hi-tech, ma anche il contenuto.
Jack Sully marine paraplegico, interpretato da Sam Worthington, una sorta di clone di Russell Crowe, è il punto di contatto tra la Terra e il rigoglioso pianeta Pandora, planetoide delle meraviglie con flora e fauna da trip psichedelico e popolato dai Na’Vi, indigeni a metà strada tra i nativi americani, e una versione iperatletica degli alieni di Kamino nell’Attacco dei cloni di Lucas.
Essendo l’atmosfera di Pandora irrespirabile per gli umani, Sully verrà avatarizzato, innestato in un corpo Na’Vi creato in laboratorio e geneticamente ibridato, con cui il marine sarà libero di muoversi liberamente su Pandora, ben presto però Sully dovrà decidere da che parte stare, visti i piani di conquista della RDA, la compagnia che ha finanziato la missione di esplorazione.
La trama non sembra nascondere nulla di innovativo o particolarmente originale, insomma colonialisti invasori contro tribù indigene, l’ennesimo tentativo di usurpare terra altrui, solo che a milioni di chilometri dal pianeta d’origine, la storia tende a ripetersi e il cinema va di pari passo con essa.
Quello che sembra aver più colpito i critici d’oltreoceano è il nuovo 3D messo a punto dallo stesso Cameron e l’utilizzo di una versione avanzatissima del performing capture, evoluzione del motion capture messo a punto negli studi neozelandesi di Peter Jackson.
E’ palese che il film ambisca a sintetizzare in una sola opera un vero e proprio spartiacque in celluloide, vedi a suo tempo lo Star Wars di Lucas, è anche vero che qui il salto tecnologico è attutito da una fruibilità quotidiana da parte dello spettatore medio della tecnologia, che negli anni lo ha vaccinato a molte delle meraviglie hi-tech propinategli a massicce dosi in questi ultimi tempi.
Cameron comunque non ha alcun dubbio che il suo Avatar rappresenterà l’inizio di una nuova era per il cinema e l’intrattenimento, affermazioni che da una parte suscitano la preoccupazione dei puristi del cinema fatto di realtà e attori in carne ed ossa, dall’altro i fautori del cinema/spettacolo tutto puntato verso, è proprio il caso di dirlo, un’alienazione del concetto originale, che mesmerizza lo spettatore catapultandolo all’interno dell’azione tra videogame di ultima generazione e realtà virtuale.
Il tutto all’insegna di un esperienza che senza dubbio potrebbe si rivelarsi visivamente memorabile, ma che impegnata a stupire potrebbe dimenticarsi lungo la strada, come succede spesso, di dare cuore e anima ai protagonisti e un minimo di spessore al contesto in cui si muovono.
Cameron comunque sa esattamente come catalizzare l’attenzione delo spettatore e spettacolarizzare la fantascienza aggiungendo corpose dosi di action, vedi il suo ipertrofico Aliens, ma al contempo possiede la sensibilità giusta e la passione verso il genere che potrebbe davvero trasformarsi in qualcosa di completo, e che come l’avatar del suo film, riesca miracolosamente ad ibridare alla perfezione intrattenimento, tecnologia e contenuto.
Quindi a rigor di logica, e di quanto detto finora, il nostro punto interrogativo del titolo permane, almeno sino a confutazione, per il resto siamo sicuri che lo spettacolo non mancherà come gli incassi, e con un battage pubblicitario da milioni di dollari ci stupiremmo del contrario.