Il piccolo Michele (Giuseppe Cristiano) è un ragazzino di dieci anni che vive un’infanzia condivisa con molti altri suoi coetanei che abitano piccoli paesini del sud italia con giochi all’aria perta, biricchinate condivise con la sorellina e un padre spesso assente a causa di un lavoro da camionista che lo porta spesso lontano da casa.
La vita di Michele sarà sconvolta da una terribile scoperta fatta per puro caso mentre insieme alla sorella ed alcuni amici gioca nei pressi di una casa diroccata, all’interno di un buco Michele scorge un ragazzino che vive segregato divenuto quasi cieco a causa dell’oscurità perenne che lo avvolge, dopo un primo e comprensibile spavento Michele tornerà dal ragazzino e instaurerà un legame con il piccolo prigioniero, portandogli acqua e cibo e tenendogli compagnia.
La verità ben presto però verrà a galla con tutto il suo carico di orrore, il ragazzino è Filippo Carducci vittima di un sequestro avvenuto nel nord italia di cui il padre di Michele è complice, l’arrivo in paese della banda di sequestratori intenzionati ad eliminare l’ormai scomodo ostaggio scatenerà la reazione di Michele e sarà l’anticamera di una tragedia annunciata.
Gabriele Salvatores torna dietro la macchina da presa dopo un periodo di sperimentazione ricco di alti e bassi che l’hanno visto spaziare dalle suggestioni cyberpunk di Nirvana, il grottesco Denti e il confuso Amnèsia per approdare ad un film che mette finalmente di nuovo il luce la sua capacità di coniugare l’elemento emotivo con un’eleganza stilistica carica di suggestioni visive, in un mix in questo caso davvero coinvolgente.
Salvatores adatta un romanzo di Niccolò Ammaniti, successo editoriale di rilievo con oltre 500.000 copie vendute e contenuti che il regista campano riesce a trasporre con un’impatto di rara effcacia che non deluderà, nonostante i cambiamenti apportati in fase di sceneggiatura, anche chi ha amato il romanzo orginale fornendone una lettura squisitamente cinematografica.
L’infanzia violata, la bestialità del mondo degli adulti, l’amicizia infantile e un Sud bucolico e solare che nasconde mostri figliati dalla criminalità, Io non ho paura si attesta tra le migliori pellicole del Salvatores post-Mediterraneo e ci ricorda la forza di un cinema italiano dato troppe volte per moribondo e capace sempre di sorprendenti guizzi creativi.
Note di produzione: il film di Salvatores rastrella svariati riconoscimenti tra questi un Nastro d’argento per il regista del miglior film e un David di Donatello per la miglior fotografia. Salvatores trasporrà nel 2008 stavolta con minor fortuna anche Come dio comanda altro romanzo di Ammaniti.