Benjamin Esposito (Ricardo Darin) è un funzionario del tribunale di Buenos Aires ormai in pensione, la sua vita è scandita da una quotidianità che porta il peso indelebile di un omicidio rimasto irrisolto e che che lo vedeva impegnato nelle indagini 25 anni prima nel pieno della sua carriera, il brutale strupro ed omicidio di una giovane donna, il cui corpo nudo, devastato ed esanime è come un tarlo che scava senza sosta da anni nella memoria del’uomo.
Come in una sorta di cercata catarsi e nel tentativo di liberarsi da quell’ossessione Esposito decide di scrivere un libro che abbia come soggetto proprio quell’omicidio e quel caso forse troppo frettolosamente archiviato, ripercorrerne le fasi investigative ora, a distanza di anni servirà a guardare i fatti da una diversa e più obiettiva prospettiva, e magari lenire parte dei rimpianti che lo accompagnano come un fardello ora che ha imboccato il viale dei ricordi senza possibilità alcuna di tornare indietro, rimpianti come la bella Irene (Soledad Villamin), collega di lavoro amata in silenzio.
Sbarca finalmente nelle sale nostrane l’unica vera sorpresa degli Oscar di quest’anno, il dramma Il segreto dei suoi occhi dell’argentino Juan Josè Campanella che si accaparra contro ogni previsione la statuetta come miglior film straniero, scalzando due solidi concorrenti come Il nastro bianco di Michael Haneke e il sorprendente Il profeta di Jacques Audiard.
il film di Campanella non ha nulla di sorprendente ne tantomeno spiazzante, ma possiede una solidità e uno spessore visivo che capiamo possa aver incontrato i gusti dell’Academy che lo scorso anno hanno premiato lo splendido Departures, attori carismatici, uno script solido, un finale da manuale e una messinscena a suo modo convenzionale, certamente più rassicurante dell’ambigua violenza esplorata da Haneke ed Audiard.
Campanella utilizza i generi in maniera impeccabile, passando dal melò al poliziesco, non disdegnando suggestioni noir e scene forti, che restano però sempre di un’eleganza stilistica notevole. Impossibile non apprezzare la compiutezza del lavoro svolto, la regia asciutta, ma capace di notevoli guizzi, il montaggio che rende le transizioni da flashback praticamente indolori, un Oscar meritato appieno per un film che mette su schermo tutto il necessario per due ore di ottimo cinema.