Roberto D’Agostino esplora la vallettopoli degli anni ’90 dispensando il peggio del mondo dello spettacolo e in questo caso anche il peggio di un non cinema compiaciuto e che parla di se stesso diventando auto-referenziale fino alla nausea e trasformando in colorate macchiette tutti coloro che si avvicinano al tritacarne televisivo.
Il film racconta di rampanti donne in cerca di notorietà e riflettori, che si concedono allegramente a destra e a manca in cerca del successo, a parte una Monica Guerritore sempre brava, impossibile capire come un’attrice di tale calibro abbia potuto partecipare ad un film del genere, il resto è puro trash e paillette, polvere di starlette per un non regista che speriamo eviti accuratamente di cimentarsi di nuovo con la macchina da presa.
Si cerca di raccontare ciò che tutti sanno e che pochi ammettono, senza però aggiungervi nessuna riflessione, le macchiette che si aggirano nel film hanno dei dialoghi che definire surreali è un eufemismo. Il cinema è decisamente altrove, la tv è un altra cosa e così ci troviamo di fronte a Mutande pazze, un pastrocchio senza identità.
Senza motivo di esistere se non per foraggiare virtualmente e raccontare il sottobosco di cui vive il gossip e che oggi ad anni di distanza è tristemente attuale ed inesorabilmente scoraggiante nel suo vuoto assoluto, nella compiaciuta plastificazione del sesso e della sessualità, della bellezza fine a se stessa e di un esercito di protoveline e tronisti dell’ultima ora convinti da chi li circonda di essere qualcosa di più che anonimi manichini da grandi magazzini.