Ali (Rafi Pitts) è un ex-detenuto costretto a lavorare di notte a causa dei suoi precedenti, un orario che non gli permette di passare abbastanza tempo con sua moglie e con sua figlia, così il quotidiano dell’uomo scorre sonnolento tra interminabili notti come custode in una fabbrica di automobili, qualche ritaglio di tempo rubato con la famiglia e giornate passate a cacciare nei boschi in totale solitudine.
Un giorno però Ali torna a casa e moglie e figlia non ci sono, pensando siano in ritardo le attende invano, ma trascorsa qualche ora di loro non c’è alcuna traccia e provato a rivolgersi a qualche vicino senza risultati, Ali comincia a percepire l’incombere di una tragedia e avverte la polizia.
Saranno le autorità a convocarlo in seguito per comunicargli che la moglie è morta durante uno scontro a fuoco tra polizia e alcuni rivoltosi, non si sa da quale parte sia partita la pallottola che ha stroncato la vita della giovane donna, quello di cui la polizia è certa è che la moglie di Ali era sola e con lei non c’era nessuna bambina.
Comincerà così per l’uomo un ennesimo calvario dopo la luttuosa notizia della moglie, la ricerca disperata di sua figlia di sette anni scomparsa senza lasciare traccia, un pellegrinaggio che lo porterà per le strade di Teheran con una fotografia della figlia tra le mani cercando una qualche speranza cui aggrapparsi, speranza che ben presto svanirà e porterà Ali a perdere il contatto con la realtà in una disperante alienazione che lo spingerà ad imbracciare il suo fucile da caccia e ad improvvisarsi cecchino, freddando due poliziotti di pattuglia e trasformandosi così in un fuggitivo braccato dalle autorità.
L’iraniano Rafi Pitts, che dirige e interpreta la pellicola, confeziona un racconto asciutto, con dialoghi ridotti all’osso e una chiave di lettura dalla duplice veste, nella prima parte del film si esplora l’odierna società iraniana attraverso l’involuzione alienante di un cittadino che pagherà i suoi errori all’infinito, incapace di reagire alle imposizioni di un sistema rigido e totalitario che sarà fonte di rabbia e frustrazione, quando causerà la perdita delle uniche due cose che ancora lo tengono ancorato ad un vissuto sempre più dissociante.
Nella seconda parte entrano in gioco elementi universali come la natura e l’evolversi dell’ambiguo binomio cacciatore/preda, con l’infittirsi dei dialoghi e una narrazione più schietta che riporterà tutti, protagonista compreso a toccare con mano una realtà spietata che non lascia scampo alcuno.
Con The Hunter-Il cacciatore, Pitts ci mostra un approccio alla narrazione poco incline alle metafore e più ancorato ad una realtà oggettiva se pur straniante, un film intenso, capace di comunicare molto, ma anche di spiazzare con due identità ben distinte che convivono, non senza confliggere all’interno di una stessa realtà filmica che resta comunque vigorosa e suggestiva nel suo raccontare un malessere che ha radici profonde.
Nelle sale a partire dal 17 giugno 2011
Note di produzione: il film è una co-produzione Iran-Germania, è stato presentato al Festival di torino 2010 ed ha partecipato in concorso alla sessantesima edizione del Festival di Berlino.