Il protagonista della nostra storia è un grigio e anonimo impiegato come tanti, vessato dal proprio lavoro, vittima dello stress e drogato di percentuali e marketing. Il lavoro diventa con il tempo un male cronico, incurabile, con tanto di sintomatologia annessa, insonnia, stati d’ansia e depressione, unico sollievo frequentare alcuni gruppi di ascolto per persone affette da malattie terminali, una forma voyeuristica di catarsi che in parte raggiunge il suo scopo.
A parte queste brevissime pause dallo stress regalate dalle riunioni, riunioni in cui incontra la stramba Maria cha il suo stesso hobby, la frustrazione aumenta in maniera esponenziale, finchè un bel giorno ecco spuntare l’eccentrico e fuori di testa Tayler Darden, rappresentante di saponette e indomabile anarchico.
I nostri due amici diventeranno inseparabili, cominceranno col mollare il lavoro, vivere insieme e organizzare incontri clandestini di combattimento a mani nude, il Fight Club, un arena segreta dove tutti sono ammessi, unica regola inviolabile mantenere il segreto. Il club diventerà un modo per ristabilire un contatto con il proprio istinto animale, lontano dalle convenzioni, solo sangue, sudore e muscoli doloranti.
Il passo succesisivo del gruppo clandestino e di trasformarsi in terroristi light, le prime dimostrazioni sono blande, innocue e puramente dimostrative, poi la deriva anarcoide, le armi, le bombe, la violenza incontrollata, è il momento di mollare, la cosa sta sfuggendo di mano, ma il Fight Club ormai vive di vita propria, si è innescato come una devastante bomba a tempo impossible da fermare.
Il regista David Fincher prende uno dei più bei romanzi dello scrittore Chuck Palahniuk e lo plasma a sua immagine e somiglianza, costruisce un perfetto meccanismo a tempo, un ingannatorio gioco di specchi deformanti , lascia tante piccole tracce lungo il pecorso narrativo che i due protagonisti, Edward Norton e Brad Pitt, celano con abilità aiutati da un montaggio geniale e da un’atmosfera surreale e inquietante.
Coinvolgente, dissacratorio, violento e anarcoide, Fight Club è tutto questo e qualcosina di più, basta che ognuno vi legga quel che vuole, l’importante è lasciarsi trasportare dal regista, nei mendri della follia autodistruttiva che la società odierna quotidianamente ci inocula sotto forma di una velenosa droga subliminale, droga che crea inesorabilmente un’incurabile dipendenza da status symbol.